playstation

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  1. Lord of Darkness
     
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    Eravamo io e Gianni nel suo salotto come quasi tutti i pomeriggi da quando, in ottobre, abbiamo iniziato l’università. E come quasi tutti i pomeriggi giocavamo alla Playstation, all’ultima versione di F.I.F.A. Seduta sul divano c’era sua madre che leggeva una rivista. Gianni mi stava massacrando come sempre. Avevo già perso due partite e pareggiata un’altra. Non c’era modo di tenergli testa: era già forte di suo e ci giocava continuamente, anche da solo. A metà della quarta eravamo ancora zero a zero ma mi stava mettendo sotto con un gran dominio a centrocampo, quando sua madre ha aperto bocca per la prima volta.
    - Ma vi sembra il caso che due ragazzi che hanno appena iniziato l’università passino i pomeriggi così?
    - Non rompere i coglioni, mamma.
    - Gianni!
    Risposta di finta indignazione.
    - E’ proprio perché siamo all’università che possiamo farlo, signora - le ho detto io, senza mai togliere lo sguardo dal televisore.
    - Sì, certo, non avete più i compiti per il giorno dopo, ma non sarebbe meglio se aveste degli interessi più maturi?
    - I paradisi artificiali non hanno età, mamma.
    - Be’, non abbiamo solo questo di interesse, le pare? - ho aggiunto.
    - Da quando sono qui di pomeriggio non vi ho mai visto fare altro.
    La madre di Gianni era stata licenziata a inizio settembre dal negozio in cui faceva la commessa.
    - Le assicuro che ne abbiamo anche altri. Dovrebbe osservarci altrove - le ho detto.
    - Sì, facci pedinare.
    - Taci, Gianni, ché tu non fai altro anche di sera e di notte - gli ha risposto.
    - Sono uno che ci dà dentro con passione.
    E in effetti ci dava dentro per bene ed era sempre più vicino a scardinarmi la difesa con lanci continui in mezzo all’area, ma ancora resistevo.
    - E’ importante avere passione, nelle cose, non crede, signora? - ho aggiunto.
    - Questo è verissimo, Simone, ma non sono tempo e passione sprecati, quelli per quella macchinetta?
    - Ma non hai nient’altro da fare, mamma?
    Stava facendo qualche lavoro di casa in un’altra stanza, quando sono arrivato. Poi, alla nostra seconda partita, deve aver finito ed è venuta lì con quella rivista. Il salotto del loro appartamento non è molto grande e mentre io e Gianni eravamo seduti sul tappeto nel mezzo, lei, sul divano, si trovava di fianco a me.
    - Va bene, non irritarti, non vi disturbo più.
    - Magari mi fa un piacere, invece, se tiene un po’ occupato suo figlio con qualche chiacchiera.
    - Perché, è tanto forte?
    - Pensi che l’ultima partita che ho vinto è stata quindici giorni fa.
    - E ti faccio il culo anche oggi - ha aggiunto lui, irritato perché eravamo ancora sul pari.
    - Non dire queste parole, Gianni! Lo sai che mi da fastidio. Ma non potresti lasciar vincere anche lui, qualche volta?
    - Non dica così, signora! Non vorrei mai vincere per concessione, voglio conquistare da me le mie vittorie.
    Sfogliava la rivista con le gambe accavallate, facendo dondolare leggermente lo zoccolo con la zeppa, che intuivo con la coda dell’occhio. Ma più che altro, da quella distanza, sentivo distintamente l’odore dei suoi piedi. Era un odore lieve ma ottuso, torbato, trattenuto dai collant color carne.
    - Oh, che idealista! Vedrai che da grande non disdegnerai qualche concessione.
    - Perché, non crede che siamo già grandi?
    - Due che giocano tutto il giorno con la Playstation? - ha risposto.
    - Ma che centra, mamma, cazzo!
    Ora con un attaccante mi dribblava sistematicamente i difensori centrali e riusciva a tirare da appena dentro l’area. Stavo per capitolare.
    - Secondo me una cosa che fa l’uomo adulto è non avere sempre la testa dentro cose irreali. La vita è ben altra cosa, che quegli omini - ha detto lei.
    - La vita è ogni cosa, signora.
    - Tu dovevi iscriverti a filosofia, Simone.
    E ha riaccavallato le gambe, e avendo cambiato posizione vedevo un po’ meglio il piede che teneva sospeso per aria, alla mia destra. Mancavano meno di dieci secondi alla fine del tempo di recupero. Due uomini si sono passati velocemente la palla nella mia area prima che uno tirasse un bolide all’incrocio.
    - Sì! - è sbottato Gianni.
    - Sei secondi. Non c’è proprio verso neanche oggi, Gianni - mi è venuto da dire.
    - Ma sei crudele! Ce l’aveva quasi fatta a pareggiare!
    - Taci, mamma, ché non capisci niente di calcio. Se ci fosse te lo direbbe anche il papà.
    Suo padre era al lavoro, come sempre. Faceva il rappresentante, uno di quelli che stanno fuori dalle sette di mattina alle otto di sera.
    - Cosa vuole, mi consolerò con la famosa equazione sfortuna-al-gioco/fortuna-in-amore - le ho detto.
    - E credi che sia vera? - ha chiesto lei.
    - Comunque prendere un goal dopo tutta una partita di assedio non la chiamerei sfortuna - ha puntualizzato Gianni.
    - Non so se sia vera, per saperlo bisogna solo provare.
    - E tu ce l’hai la ragazza? Gianni non mi racconta mai niente di lui.
    - Non ne ho una fissa... Diciamo che sono sempre alla ricerca della soluzione all’equazione - le ho risposto sorridendole.
    - Bene, ragazzi, vado a vedere se si sono asciugate le camicie e vi lascio ai vostri paradisi irreali.
    E si è alzata dal divano lasciandovi la rivista.
    - Ecco, brava.
    - Però la invito ufficialmente a farci ritorno quando vuole, signora; magari la prossima volta mi vedrà vincere - le ho detto per salutarla.
    - Va bene, ma tu impegnati però - mi ha risposto uscendo.
    Abbiamo fatto altre tre partite e le ho perse tutte. Anche perché mi sono messo a pensare a sua madre. In un modo che non mi era mai capitato. Certo, ho sempre pensato che la signora Giulia sia una bella donna, anche ora che ha quarantatre anni; un fisico asciutto e insieme formoso, con un gran bel culo e gambe tornite, e un paio di tette generose; e quando ero più adolescente devo sicuramente averle dedicato qualche pensiero speciale, ma non l’avevo mai considerata in maniera così concreta. Non so bene cosa sia stato, se qualche discorso o il fatto che sia rimasta così a lungo lì con noi, o quella vicinanza e quell’odore. Sta di fatto che il giorno dopo sono andato da Gianni, sapendo che era l’unico pomeriggio in cui lui aveva lezione.

    Non ho suonato al citofono ma sono andato direttamente alla porta dell’appartamento, perché sarebbe risultato strano se le chiedevo di salire sentendomi dire che Gianni non c’era. Infatti appena mi ha aperto mi ha detto non ti ricordavi che il giovedì è l’unico giorno in cui ha lezione di pomeriggio?, ma per la consueta cortesia mi ha chiesto se mi volevo accomodare e magari aspettarlo. Era vestita come il giorno prima, solo con una maglia diversa, di lana sottile, azzurra; ma con la stessa gonna di jeans, i collant tinta carne, e quegli zoccoli color mattone con una zeppa di sughero piuttosto alta e un’apertura molto piccola sul davanti che portava abitualmente in casa. Mi sono seduto in salotto e mi ha chiesto se volevo qualcosa da bere offrendomi delle bibite. Una cocacola andava bene, e me ne ha portato una lattina con un bicchiere. Mi ha detto che Gianni sarebbe tornato dopo almeno due ore e se volevo potevo giocare alla Playstation. Le ho detto che non mi piace giocarci da solo e che magari potevo leggere qualche rivista. Mi ha detto ma allora non sei intossicato come Gianni, magari facesse così anche lui! ed è andata in altre stanze a sbrigare faccende. Io ho preso un Quattroruote che c’era in un cesto porta giornali e sfogliandolo mi sono messo a osservare i suoi movimenti. Un po’ per quello che potevo vedere dalla porta del salotto, un po’ ascoltando i rumori che venivano dalle altre stanze.
    Prima ho sentito che ha lavato i piatti, poi ha spazzato il pavimento della sala da pranzo ed è comparsa su quello del corridoio. La guardavo far oscillare la scopa, sinuosa com’era su quegli zoccoli, con quella massa di capelli scuri e vaporosi, ma lei non ha mai rivolto lo sguardo verso di me. Poi deve essere andata nelle camere da letto. Dopo un po’ mi sono alzato e sono andato al bagno, e l’ho trovata lì che stava avviando la lavatrice. Ha avuto un lieve soprassalto, quando mi ha visto. Ma mi ha detto ora esco, fai pure con comodo. Mentre pisciavo ho pensato che se avesse voluto guardare dal buco della serratura mi avrebbe potuto vedere perfettamente l’uccello, e l’idea me l’ha fatto gonfiare un po’. Quando sono uscito era nella camera da letto di fronte, quella di Gianni, che spolverava le mille cazzate che ha sui mobili. Sono entrato e ho attaccato la conversazione dicendole quanto ho sempre ammirato come le donne riescano a fare tanti lavori diversi con quella disinvoltura. Mi ha risposto che preferiva avere un lavoro unico ma fuori di lì come prima, anche se comunque queste cose ci sono sempre da fare, e poi che appunto le donne hanno molti più lati di quanto credano gli uomini. Il letto era già fatto ed è passata alla sua camera. Io, chiacchierando, l’ho seguita. Continuava i suoi lavori, si è messa a rovistare nell’armadio e a riordinare cassetti, mentre siamo passati a parlare dell’università. Io le stavo di fianco, a poco più di un metro, e ogni tanto facevo qualche passo per la stanza. Mi ha detto delle perplessità sulla facoltà che ha scelto Gianni (si è iscritto a chimica) e poi mi ha parlato di una certa Laura sua nipote che sta per laurearsi in storia perfettamente in corso. Io le ho detto un po’ delle mie idee sull’università italiana, che è un bene che duri molti anni e permetta dei gran fuoricorso, perché prolunga la giovinezza e la libertà. Lei mi ha risposto sorridendo che sono un testone e che devo maturare, e che dobbiamo (io e Gianni) metterci a studiare d’impegno e prenderci le nostre responsabilità. Che gambe aveva, sotto quella gonna al ginocchio, e che fianchi, con una vita ancora stretta. E ho notato che portava un reggiseno molto scollato sotto la maglia leggera, a sostenere quel seno prosperoso. Quando, mentre appendeva dei pantaloni di suo marito all’asta dentro l’armadio, mi sono avvicinato a lei un po’ di più, ha interrotto il discorso e mi ha chiesto se volevo un caffè. Le ho detto che andava bene ed è andata in cucina a prepararlo dicendo che ne aveva voglia anche lei e di accomodarmi in salotto.
    Sono tornato nel salotto e mi sono seduto sul divano. Dopo un po’ è arrivata col vassoio, l’ha appoggiato al tavolino e si è seduta su una delle due poltrone. Ma, dimmi, che tu sappia, Gianni non ha una ragazza, o una simpatia?, mi sembra sempre così tanto bambino, mi ha detto bevendo il caffè. Le ho detto che sono discreto e non parlo dei miei amici in loro assenza, e di chiederlo a lui, eventualmente. Ha accavallato le gambe, strette, e mi ha detto dio, non ti facevo così galantuomo! Le ho detto: posso essere molte cose in realtà, sorridendole e guardandola negli occhi. Quei due grandi occhioni neri. Come i molti lati delle donne, mi ha detto lei con tono scherzoso, è con questa dote che conquisti le tue amichette? E chi le dice che io abbia molte amichette?, le ho risposto. Ogni tanto Gianni mi racconta qualcosa… ma non dirgli che ti ho detto così!, ha risposto carezzandosi un tallone con la mano. Ma non creda che mi interessino solo le ragazzine, ho ripreso io. Al che lei si è alzata e ha detto se non ti dispiace mi fumo una sigaretta. Le ho risposto che era un’ottima idea e se me ne offriva una. Ha preso un pacchetto da una borsa nel corridoio, è tornata e me ne ha allungata una dicendomi che però faccio male a fumare già alla mia età. Ha aperto la lastra della finestra e ci siamo messi a fumare lì in piedi, con i gomiti sul davanzale, a meno di mezzo metro di distanza. Faceva ancora abbastanza caldo, per essere autunno. Il discorso è andato sul dove ci sarebbe piaciuto essere in quel momento. Lei ha detto su una spiaggia tropicale, anche se è banale; io per le strade di New York, ma che in realtà mi piaceva dove mi trovavo ora. Gettavamo entrambi la cenere in un portacenere che ha messo sul piano di marmo. Da quella distanza sentivo l’odore della sua pelle e del deodorante neutro che si era data. Lei parlava e io mi sono avvicinato ancora di più. Mi diceva di una vacanza che aveva fatto e io le guardavo le labbra, che hanno emesso gli ultimi soffi di fumo. Poi l’ho guardata negli occhi e lei ha girato il viso verso di me. Eravamo veramente vicinissimi. Mi ha guardato negli occhi anche lei, per un attimo ho sentito il suo respiro, il suo alito. E si è spostata dalla finestra, dicendo che ora doveva andare da una vicina per una gonna che le aveva portato da sistemare e che potevo aspettare Gianni lì ché tanto non sarebbe tornato dopo molto. Ed è uscita in fretta di casa.
    Io mi sono seduto su una poltrona e ho ripensato a tutta la situazione, a quanto ero stato vicino alla signora Giulia; ad una distanza che normalmente non poteva non essere imbarazzante. Ero decisamente in tiro e si vedeva di brutto sotto i jeans, e ho cercato di farmelo passare leggendo un altro po’ di Quattroruote prima che arrivasse Gianni.

    Nei giorni seguenti sono tornato là tutti i pomeriggi. La signora, in tutte le ore che abbiamo giocato, non è mai venuta nel salotto, tranne una volta per prendere una rivista. Quando veniva ad aprirmi la porta o la incrociavo per caso, per esempio andando con Gianni in cucina a farci uno spuntino, si comportava in maniera un po’ distaccata, e non mi rivolgeva mai la parola per intavolare qualche discorso, cercava anzi di passare subito in un’altra stanza. Io mi comportavo normalmente, sempre molto cordiale ma senza cercare di forzare il dialogo. Le partite mi sono andate male come al solito, avrò realizzato cinque o sei pareggi e il resto batoste.
    Ma sono andato a casa di Gianni anche il giovedì successivo.
    - Simone, ma non ti ricordi che oggi Gianni non c’è? - mi ha detto con aria di sorpresa quando mi ha aperto la porta.
    - Sì, oggi me lo ricordavo, ma dovevo portargli questi cd che ho masterizzato e poi avevo voglia di chiacchierare un po’ con lei.
    E’ rimasta come in sospeso e non ha detto niente per qualche secondo.
    - Oh, ma io ho da fare, e poi perché vuoi chiacchierare con me? Vieni dentro, comunque, non stiamo qui sulla porta.
    Era un po’ sudata, probabilmente per il lavoro che stava facendo. Aveva un vestito da casa giallo a piccoli fiori rossi, di quelli tutti abbottonati sul davanti, un po’ scollato, lungo fino al ginocchio. Collant color carne e zoccoli.
    - Scusa per come mi trovi, ma stavo lavando a mano.
    - La trovo in splendida forma, di cosa si deve scusare?
    - Oggi fa ancora più caldo dei giorni scorsi, non trovi?
    - Sì, è bellissima questa specie di primavera capovolta.
    - Dici sempre delle parole che mi sorprendono. Ma oggi non ho proprio tempo di chiacchierare e poi penso che Gianni torni ancora più tardi perché deve andare anche dall’oculista, quindi non ti conviene aspettarlo. Vuoi qualcosa da bere, comunque?
    - Se ha ancora un po’ di quella Coca Cola del ’74 ne prendo volentieri un bicchiere.
    - Che scemo sei! - ha detto sorridendo.
    Mi sono seduto sul divano. Lei è arrivata con lattina e bicchiere, li ha messi sul tavolino e se ne è andata subito. Quel vestito svolazzante le metteva in risalto il fondo schiena e le rendeva ancora più leggiadre le gambe. Ho bevuto la coca e sono andato a cercarla. Era nel bagno che lavava della biancheria nel lavandino pieno d’acqua.
    - Cosa c’è, Simone? - mi ha detto seria appena sono entrato.
    - Niente, è che soffrivo terribilmente di solitudine là nel salotto - le ho risposto con tono scherzoso.
    - Non fare lo sciocco, vedi che ho da fare. Hai bevuto la cocacola?
    Ho notato dalla scollatura che non aveva reggiseno, e quando raddrizzava la schiena le si intuiva benissimo la forma dei capezzoli.
    - Certo, era di ottima annata. Ma non si annoia a passare le giornate così?
    - Che domande. Non è il sogno di una vita e ho avuto senz’altro periodi migliori ma sono comunque contenta di essere utile per mio figlio e mio marito.
    Aveva un atteggiamento rigido, e non mi guardava mai in faccia. Mi sono messo a parlarle di cosa mi piacerebbe fare se mi laureassi in ingegneria, mentre lei stendeva il tutto su uno stendino sotto la finestra. Era tutta roba sua e sembrava un po’ imbarazzata quando spiegava certi reggiseni e mutandine. E a guardarla così, standole alle spalle, mi è venuto completamente duro. Lei mi ascoltava in silenzio, rispondendo al massimo a monosillabi; e quando ha finito si è girata così in fretta per uscire che, nello spazio ristretto del loro bagno, mi è venuta addosso.
    - Oddio, scusami! - ha detto portandomi d’istinto per un attimo le mani sul petto e arrossendo vistosamente. Ed è uscita all’istante.
    Sono uscito anch’io e l’ho trovata in cucina. Tirava fuori delle stoviglie dai credenzini.
    - Se c’è una cosa che fa il senso della famiglia, è preparare il cibo per gli altri - le ho detto. - Cosa sta per fare di buono?
    - Oh, non sono certo brava, in questo. E dovresti saperlo visto che sei rimasto a mangiare qui più di una volta.
    Stava imburrando un tegame e mi parlava senza girarsi.
    - Lei è un po’ troppo pessimista verso se stessa, sa, signora Giulia? Se sapesse cosa dovrebbe pensare di sé… O cosa penso io, di lei.
    - Secondo me non sei grande abbastanza per sapere cos’è il pessimismo.
    - E’ proprio fissata con questa faccenda. Chissà se è tutta colpa della Playstation.
    Ha aperto uno sportello in alto per prendere un’altra pentola ma non riusciva a toglierla da quelle che le stavano sopra.
    - Aspetti che l’aiuto.
    Sono andato dietro di lei, appoggiandomi per forza alla sua schiena, e ho sfilato la pentola.
    - E’ questa che voleva?
    - Sì grazie - con una voce imbarazzata che quasi tremolava, lì stretta tra me e il mobile.
    Gliel’ho consegnata con le braccia che l’avvolgevano ma non mi sono spostato. I suoi capelli mi sfioravano la bocca; profumavano di shampoo all’ortica. E le ho preso delicatamente le braccia con le mani.
    - No Simone, cosa fai? - e si è spostata di lato bruscamente.
    Ha messo la pentola sul ripiano, ha cercato qualcosa in giro, si è toccata nervosamente i capelli ed è uscita dalla cucina.
    - E’ meglio che tu vada, sai? Gianni torna tardi - ha detto andandosene.
    Sono passato nel corridoio e ho preso i cd nella tasca del giubbino.
    - Le dispiace se sento se sono venuti i cd nello stereo di Gianni? - ad alta voce.
    - Va bene, fai pure - mi ha risposto. Era nel salotto.
    Sono andato in camera di Gianni e ho messo su l’ultimo dei Killers. La musica arrivava in tutto l’appartamento. Alla fine del primo brano ho preso la via del salotto. Era seduta su uno sgabello alto, tipo bar, vicino alla finestra e stava rammendando un paio di mutande da uomo.
    - Le piacciono, questi?
    - Mmm… non mi dispiacciono, ma non chiedermi chi sono: è da un pezzo che non seguo più la musica - mi ha risposto senza alzare la testa.
    Mi sono messo davanti a lei, a pochi centimetri dalle sue gambe accavallate. Le ha ritirate impercettibilmente.
    - La musica è il più grande nutrimento dell’anima, sa?
    - Senti, ma tu devi sempre…
    E si è interrotta perché le ho tolto il lavoro dalle mani e l’ho lasciato cadere per terra. Le ho preso le mani e l’ho attratta a me.
    - Cosa fai, Simone?
    Mi ha guardato con gli occhi spalancati. Le ho afferrato una caviglia e mi sono avvicinato ancora di più.
    - Sei pazzo?!
    Le ho infilato l’altra mano nei capelli, dietro la testa, e l’ho baciata sulle labbra, delicatamente.
    - No Simon, ti prego!
    Non mi aveva mai chiamato in inglese come fa Gianni.
    Ho continuato a baciarla. Ha schiuso leggermente le labbra e per un attimo mi ha baciato anche lei.
    - Sei pazzo? Ti rendi conto? - con una voce un po’ più flebile.
    Mi sono ributtato sulla sua bocca e abbiamo iniziato a baciarci sul serio. E intanto le sono andato con la mano lungo la gamba. Cosce sode magnifiche.
    - No, Simone, fermati. Fermiamoci qui.
    Sono salito ancora, le ho alzato il vestito; non aveva collant, si era messa delle autoreggenti! E le sono arrivato con due dita in mezzo alle gambe.
    - Oddio, no! - ha detto in una supplica languida.
    Aveva le mutandine fradice. E come l’ho toccata è scattata in piedi e mi ha abbracciato più stretto.
    - No Simone, cosa mi fai fare?
    Ho continuato a rovistare con le dita; era talmente bagnata che ne sentivo l’odore stando in piedi. Mi sono chinato per sfilarle le mutande. Lei le ha scavalcate, e lì in ginocchio ho dato giusto un paio di leccate a quella fica inzuppata di umori fortissimi. Non avevo mai sentito una fica così intensa: sapeva di mare mescolato col miele. E le è scappato il primo aaahhh.
    Mi sono rimesso in piedi e lei mi ha ficcato di nuovo la lingua in bocca.
    - Ma ti rendi conto che hai l’età di mio figlio?
    - Certo, e che sono il suo migliore amico vogliamo tralasciarlo?
    Ha portato una mano a cercarmi l’uccello. Io l’ho agevolata tirandoglielo fuori dai jeans all’istante: nemmeno da dire in che forma si presentava. Si è messa a toccarmelo e a menarmelo con la mano al contrario, lì mentre continuavamo a scambiarci della gran lingua. E senza pensarci un momento di più l’ho appoggiata con la schiena alla finestra, le ho alzato ancora il vestito e gliel’ho puntato tra le gambe.
    - Oddio, fai piano che hai il pisello grande.
    All’inizio ho fatto piano, ma la cosa è diventata presto sempre più bollente. E’ partita una gran scopata, lì in piedi e con i vestiti addosso. Lei che stava su una gamba e con l’altra mi si avvinghiava. Io che le davo dei colpi sempre più massicci e rapidi, e più glie ne davo più godeva e ansimava.
    - Pensi ancora che sia troppo giovane?
    - Cosa? Sì… sei ancora un bambino che gioca alla Playstation - con una voce rotta deliziosa.
    - Però secondo me gli adulti di questa casa ti trascurano.
    - Oddio, cosa dici Simone?
    - Dico che secondo me prendi troppo poco cazzo.
    - Ma cosa dici?! Mi stai facendo impazzire, lo sai?
    - Ho ragione o no? - dandole dei gran colpi.
    - Oddio, cosa mi fai dire… Piano, ché hai un pisellone tanto grande. Sì… sì, non lo faccio mai con mio marito, mi sa che l’ultima volta è stato sei mesi fa!
    - Forse è lui che è troppo adulto.
    Aveva la fronte imperlata di sudore e teneva gli occhi chiusi e la bocca disperatamente spalancata. Con una mano le ho aperto la parte sopra del vestito, strappando i bottoni perché non riuscivo altrimenti. E sono fuoriuscite le sue tette magnifiche. Piene e ancora sostenute, con due gran capezzoli scuri e gonfi. L’ho fatta inarcare di più e mi sono messo a mangiargliele.
    - Noooo! Se mi fai questo muoioooo…! - ha detto con degli urletti.
    Avevano un vago odore acidulo di pelle sudata, e i capezzoli erano duri da scoppiare. E a quel punto l’ho spazzolata veramente di brutto. Le ho dato delle stantuffate a velocità folle, che quasi non sentivo più attrito per quanto era bagnata. Le tette le saltavano impazzite. E i suoi urli sono arrivati al culmine.
    - Aaaahhhh! Nooo… pianooo… ti prego… così mi fai… Simoneee! Aaaaaahhh!!! Sìììììì!!!!!!
    E’ rimasta come paralizzata per un istante e mi ha morso una spalla fortissimo. Io mi sono fermato e lei si è messa a baciarmi tutta la faccia.
    Con uno strappo le ho aperto il resto del vestito e mi sono spogliato anch’io. Mi aveva sporcato tutti i jeans e fatto un taglio sulla camicia col morso. L’ho portata in mezzo alla stanza e spostando il tavolino con un calcio l’ho fatta stendere sul tappeto. I Killers martellavano drammatici e poetici. Lei mi guardava, nudo com’ero e con l’uccello teso nell’aria. E ha aperto le cosce, facendomi vedere la fica di peli neri che adesso era gonfia e paonazza. Mi sono inginocchiato, le ho preso in mano una caviglia, le ho sfilato lo zoccolo e le ho annusato il piede. Aveva lo stesso odore di quel giorno, ma sentito così era incredibilmente più intenso. Aveva tutto l’odore latteo e speziato di un piede che ha sudato a lungo in quel tessuto sintetico. Sono andato sopra di lei con la verga che più in tiro non si poteva e abbiamo ricominciato.
    Non c’è che dire che aveva dell’incredibile essere lì su quel tappeto con la signora Giulia che godeva come una matta, in una serie di scopate sempre più forsennate. L’ho presa da sopra, da sotto e a pecora, e anche nel culo. Era sudata marcia; tutti e due lo eravamo. Ma la cosa più straordinaria di tutte era quanto le si bagnava la fica: non avevo mai visto una cosa del genere e non pensavo nemmeno che fosse possibile. Era talmente copiosa che mi ha imbrattato dalla pancia alle ginocchia e alla fine ha lasciato una macchia giallastra enorme sul tappeto. E quando orgasmava arrivava addirittura a zampillare. Gridava e schizzava. E io a sentire quell’odore forte frammisto agli altri mi inebriavo e la fottevo a più non posso.
    Quando mi sono rimesso in piedi il disco dei Killers era quasi alla fine del secondo giro. E non ero ancora venuto. Ormai l’avevo di una durezza insopportabile che mi gocciolava e mi facevano male le palle.
    - Mettiti in ginocchio - le ho ordinato.
    - Cosa vuoi farmi, adesso? - e si è messa subito come le ho detto e di sua iniziativa ha preso a leccarmelo.
    Era uno splendore il suo viso accaldato sotto quei capelli voluminosi. Teneva gli occhi chiusi ma ogni tanto mi guardava e poi se lo riprendeva in bocca. Era da una settimana che mi trattenevo e non facevo niente, né da solo né con altre. Gliel’ho tolto. Con che occhioni che mi guardava mentre me lo toccavo davanti a lei. E senza darle nessun preavviso l’ho lavata. Una sborrata pazzesca. E lei se l’è presa tutta, ha solo irrigidito il viso e chiuso gli occhi ai primi fiotti. Era imbrattata dappertutto, aveva schizzi trasparenti su tutta la faccia e parecchi nei capelli. E messa così, poi, mi ha pulito per bene la cappella con la lingua. Credo che adesso sarà impossibile che non pensi alla faccia della signora Giulia in quelle condizioni, ogni volta che la vedrò.
    - Allora, pensi ancora che non sia abbastanza grande?
    - Penso che tu sia un gran mascalzone. Guarda che ore sono! Tra poco torna Gianni!
    - Quindi è meglio che vada, ché tu hai anche un po’ da pulire.
    Mi sono rivestito, ma prima di andare a spegnere lo stereo e uscire l’ho baciata e le ho sussurrato che è una donna stupenda. Lei, ancora un po’ frastornata, mi ha detto mi hai fatta impazzire.

    Il giorno dopo ero là puntualmente a giocare con Gianni. E la signora è venuta a sedersi sul divano a leggere una rivista. Non sembrava avere un’aria diversa dal solito e mi ha salutato come sempre. Io avevo iniziato prendendomi una sconfitta e due pareggi.
    - Mamma, ma dov’è il tappeto, che si sta da culo seduti sul pavimento? - ha esordito Gianni appena lei si è seduta.
    - L’ho dovuto portare in lavanderia perché l’ho macchiato con della cocacola.
    - Ma che donna di casa sei? E poi chi è venuto per tirare fuori una cocacola?
    - Nessuno, l’ho bevuta io.
    - Ma che cazzo.
    - Gianni, lo sai che non voglio!
    Intanto io stavo infilando qualche contropiede pericoloso e sono riuscito a tirare due volte in porta, ancora fermi sullo zero a zero.
    - Signora, non c’è proprio nessuna comprensione in questa casa.
    - Taci, Simone, non me lo dire. Un giorno o l’altro gliela faccio vedere io.
    Ho recuperato una gran palla a centrocampo, ho lanciato sulla fascia, fuga e palla rasoterra in mezzo e con una delle due punte ho segnato.
    - Merda! - ha detto Gianni.
    E ha iniziato a sudare per recuperare, ma non mancava molto alla fine. Ha provato ad assediarmi l’area ed è riuscito a liberare per tre volte qualcuno al tiro, ma ho sempre parato. Finché ho fatto un po’ girare la palla tra difensori e centrocampisti a evitare il suo pressing e la partita è finita. Uno a zero per me.
    - Cazzo! Sei un rottinculo! Come cazzo hai fatto? E’ evidente che in questi giorni non scopi neanche morto!
    Non ho osato girarmi verso la signora per non scoppiare anch’io, ma ho sentito chiaramente che si stava trattenendo dal ridere.
     
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