I due gemelli e il servizio militare

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    Sono passati più di 40 anni dai fatti di cui vi parlerò, e quindi anche la memoria non sempre mi sostiene nei dettagli meno importanti, percui molti dei dialoghi non sempre riportano ciò che allora fu detto, mantenendo comunque le dinamiche di ciò che furono i nostri rapporti più intimi.

    1. Premessa.

    Quando io avevo 18 anni il servizio di Leva era ancora obbligatorio e un "dovere" per ogni cittadino maschio.
    Per un anno, riuscii – con la scusa che dovevo completare gli studi – a procrastinare questa scomoda incombenza, ma poi fui costretto ad affrontare il problema. E nel peggior modo possibile...
    Infatti, ecco che – tenuta – un giorno mi fu recapitata la cosiddetta "cartolina".

    All'epoca, io e Tati (ricorderete che questo era il nomignolo che suo padre aveva affibbiato a mia cugina) eravamo appena usciti e riusciti a superare una situazione a dir poco incredibile – il matrimonio forzato e non voluto di lei e a cui sua madre l'aveva obbligata con l'inganno –, percui queste vicissitudini ci avevano uniti – a dispetto di chi, invece, avrebbe voluto dare un colpo mortale alla nostra unione – più che mai.
    Era praticamente impensabile, quindi, per i "gemelli", vivere sradicati l'uno dall'altra...
    Oltretutto, il nostro legame si manifestava anche – come ricorderanno i miei lettori – attraverso un'unione sessuale e un'intesa "spirituale", che ci aveva condotti a "sentire dentro" – reciprocamente – dal più piccolo disagio al più grande pericolo per la nostra "coppia".

    Perciò, questa "notizia" della mia – come si diceva una volta con un termine pomposo – "chiamata alle armi" giunse a destabilizzare il nostro equilibrio psicologico che stavamo faticosamente ritrovando.
    Tutto andò più o meno così: leggetemi e capirete quest'altro episodio della travagliata storia dei "gemelli"...

    2. Cartolina precetto.

    Ebbene, era come tante ed io stavo al telefono quando suonò al cancello del nostro villino l'addetto alla consegna delle raccomandate.
    Ero solo in casa con la mia gemella, e quindi fu giocoforza che andasse lei ad aprire.
    Da dove stavo udii la sua voce – concitata e confusa – che diceva:
    - "No, non è possibile, ci sarà stato certamente uno sbaglio... Tato non può...".
    Intuii pure che si trattava di qualcosa di importante che mi riguardava, ma non ebbi il tempo di pensare ad altro perché sentii sbattere forte il cancello e subito dopo la porta di casa mia si spalancò.
    Ricorderete, infatti, che a quel tempo mio padre – un ingegnere civile – aveva costruito un villino bifamiliare per noi e per la famiglia di suo fratello, cioè mio zio e papà di Blanca.
    Dunque, Tati entrò come una furia. Aveva le lacrime che le offuscavano la vista, tremava in un modo difficile da descrivere ma che solo lei sapeva fare, e disperata mi porse – senza dir niente e con il braccio teso in avanti – un foglio. Poi mi abbracciò, e posando il capo sulla mia spalla sottovoce mi spiegò:
    - "Oh, mio piccolo gemello! Devi partire per il militare... Ti hanno mandato a Udine".
    Sembrò essersi calmata, ma dopo un lungo silenzio mi prese le mani e ricominciò a parlare affannosamente:
    - "Tato è una tragedia. Capisci? Un anno lontani... Non è mai successo, nemmeno quando mia madre mi aveva spedito in collegio... Nemmeno quando mi aveva dato a Firmino... Chi ci penserà a te? No, non voglio! E se incontri un'altra? Io muoio già adesso al pensiero...".
    Mi crollò il mondo addosso... Quelle parole così accorate mi fecero correre un brivido lungo la schiena per il loro reale significato, e nello stesso tempo sentii Blanca venir meno... Le sue braccia mollarono la presa su di me, e come un sacco vuoto la vidi scivolare a terra, proprio si miei piedi. Era svenuta...
    Cercai di rianimarla come meglio potrei, e stavo quasi per attaccarmi nuovamente al telefono per chiamare Tata (la cugina medico) quando per fortuna si riebbe.
    Gemella non aveva dimenticato la "tragedia". Si mise una mano all'altezza dello stomaco e poi di corsa andò verso il bagno, e io dietro di lei. Vomitò dal nervoso così tanto da farsi uscire quasi gli occhi dalle orbite, e tutto stava succedendo per "colpa" mia...
    Non mi vergogno a dirlo, ma - per dimostrare forse più a me stesso che a lei quanto la amassi - la accompagnai al lavandino e mi misi con cura a lavarle il viso, per dimostrarle quanto fosse importante per me.

    Eravamo ancora soli in casa, e la portai nella mia stanza, dove ci chiudemmo dentro e dove si ripeté quel "rito" che tanto amavamo e che eravamo soliti compiere quando avevamo un problema.
    Seduti a terra a gambe incrociate, faccia a faccia, ci tenevamo le mani di modo che i palmi di entrambi si toccavano...
    Chi ci avesse osservato, avrebbe visto semplicemente due individui immobili e silenti, ma non era così. A noi – fin da piccoli, per un imperscrutabile "gioco" del destino – non servivano le parole per comunicare, poiché ci fu dato (come già detto) il dono di "sentire" – cosa che nessun altro possedeva e possiede tuttora in famiglia – le emozioni dell'altro.
    E in quel momento, io "sentii" gemella che gli si stava spaccando il cuore...
    Forse, direte: ma che esagerazione!, ma era proprio così. La conoscevo (e la conosco) bene, e percepivo che lei mi diceva: Tato, non andare!
    Sentivo anche l'impulso irrefrenabile di prendere Blanca e scappare via, ma stavolta non sarebbe servito a nulla.
    Così, provai – sebbene non ci credessi io per primo – a convincerla che tra di noi non sarebbe mai cambiato niente.
    Aprii la bocca, senza rendermi conto di quello che dicevo:
    - "Blanca, non devi fare così, vita mia. Non rendiamo tutto più difficile. Un anno passa presto. Cercherò di venire a casa ogni volta che mi sarà possibile...".
    Parlavo a testa bassa poiché sapevo che se l'avessi guardata negli occhi non sarei stato in grado di sostenere quella situazione.
    Ma quando ebbi terminato e alzai di nuovo il capo, vidi uno "spettacolo" orribile: Tati mi stava fissando, forse non aveva mai smesso di farlo in tutto quel tempo, e piangeva e io non me ne ero accorto, impegnato com'ero a convincere entrambi... Non l'avevo mai vista così stremata psicologicamente e credo che non ho mai più visto nessuno distrutto da tanto dolore.
    Provai ad asciugarle le lacrime alla nostra maniera – e cioè leccando quelle gocce amare che copiose scendevano da quegli occhi che mi avevano catturato sin da quando eravamo nati –, ma fu come asciugare l'oceano con un foglio di carta assorbente.
    Alla fine mi rassegnai e – alzandomi per andarle ancora più vicino – incontrai le sue braccia tese che mi cercavano.
    Sapevo bene che la sera, a centinaia di chilometri di distanza, uscendo in libera uscita non sarei mai potuto andare da lei, e nemmeno la domenica mi sarebbe bastata per raggiungerla.
    Le baciai la fronte e infine crollai anch'io e le confessai:
    - "Tati mia, non ce la faccio più. Ho provato ad essere forte per me e per te, ma non sono capace... È vero, questa è una tragedia, hai ragione tu come sempre, e non me la sento di minimizzare. Oltretutto, il nostro sesto senso non ci permette di fingere... Ti ricordi quando tua madre ti aveva mandata in collegio ed io sono venuto a riprenderti? Beh, stavolta è diverso...".
    In quel momento, mi venne un'idea:
    - "Però, potresti venire su il sabato e la domenica e staremo insieme... Che ne dici? Dobbiamo parlarne subito con zio, lui ci può consigliare come ha sempre fatto...".
    Grazie alla mia proposta, Gemella sembrò essersi un attimo risollevata, ma rimase in silenzio a pensare. Poi, all'improvviso, vidi il suo sguardo illuminarsi e di scatto rispose:
    - "Claro che si!".
    Ma subito dopo ripiombò nello sconforto. Mi guardò sull'orlo di una nuova crisi di nervi e riprese:
    - "E se mia madre non vuole? Sai quello che pensa di noi... Quando saprà che devi partire sarà contenta quella strega!".
    Non so perché, ma quella volta ero sicuro che nessuno avrebbe potuto mettersi in mezzo. Chiosai:
    - "Stai tranquilla... Appena arrivo su, cercherò un alberghetto senza pretese. Sarà il nostro rifugio... Tu però dovrai fare tutto da sola stavolta... Voglio dire, prenderai il treno da sola...".
    E lei:
    - "Fosse quello il problema!".

    Da allora e fino alla mia partenza, io e Tati impiegammo gran parte del tempo a fare dei lavoretti artigianali da vendere, e con cui creare un piccolo "fondo cassa" da utilizzare per i viaggi e i soggiorni di lei...

    3. Il “piano di battaglia”.

    Il Distretto Militare mi fissò la data della partenza: dovevo presentarmi in caserma il 6 novembre, e quindi non avevamo tempo da perdere.
    Più che mai, in quei giorni – se ciò fosse stato possibile – eravamo ancora più uniti, a dispetto di buona parte delle nostre famiglie che continuarono ad ostacolarci, nonostante fossero ormai chiare da tempo le nostre intenzioni.

    Così, un giorno, di nascosto da tutti, con la nostra consueta abitudine di tenerci per mano, ci ripetemmo, all'unisono:
    - "Perché noi non siamo normali!".
    Ci volevamo dare forza l'un l'altra, e con quella certezza ci intrufolammo nello studio di zio.
    Il quale, appena ci vide in quell'atteggiamento e con l'umore sotto i piedi che implorava consiglio da lui, ci disse:
    - "Avanti... Sputate il rospo. Cosa avete combinato stavolta? Tua madre (lo disse rivolgendosi a Tati) stasera mi è sembrata più allegra del solito. Il che non è da lei...".
    Lo disse con un sorriso ironico appena abbozzato, e in realtà era successo che parlando con mia madre quest'ultima le aveva dato la notizia della mia prossima partenza...
    Ebbene, senza tanti fronzoli, Blanca mise al corrente suo padre - fin nei minimi dettagli - di quello che mi aspettava...
    O meglio, "ci" aspettava... Perché, raccontando ogni cosa, alla fine esclamò:
    - "E io come faccio? Tato è la mia vita, io morirei così lontano da lui...".
    Sentii la sua mano che mi stringeva ancora più forte quando chiese a zio, come ultima spiaggia:
    - "Ma tu non conosci nessuno per evitare questa cosa inutile? Tanto lo sanno tutti che è un anno perso... Un anno delle nostre vite che ci rubano!".
    Finì la frase in un crescendo, quasi urlando, e ricominciò a piangere...

    Generalmente zio, come me d'altronde – gli unici uomini della sua vita –, non poteva vederla in un simile stato e se poteva (mettendosi spesso e volentieri contro la moglie) finiva per cedere ed accontentarla. Ma stavolta non si lasciò impietosire e le tenne testa:
    - "Blanca, non dire stupidaggini... Nella mia posizione, dovrei brigare e fare esonerare il tuo gemello (ormai anche lui aveva cominciato a chiamarmi così) per un capriccio? Non è mai morto nessuno durante il militare! E poi vi farà bene stare un po' lontani! Forse tua madre, stavolta, non ha tutti i torti...", tagliò corto.

    A quelle ultime parole, mi tornò davanti agli occhi un'immagine di tantissimi anni prima, quando – per la prima volta nella nostra ancora giovane vita – fummo separati in occasione delle vacanze estive e Tati ne soffrì molto. Tanto che, in quell'occasione, arrivò a dirmi:
    - "Credo che non potrò sopravvivere... Addio Claudio... Se non ci vediamo più, non guardare le altre femmine!".
    Allora eravamo piccoli, e quella era stata la reazione di una bambina, ma da quei giorni non era cambiato nulla, e noi eravamo ancora lì, a vivere la possibilità di un'altra dolorosa separazione...
    Sopra pensiero, sentii che gemella mi diede un'altra forte stretta. Mi riscossi, proprio nell'istante in cui rispondeva al genitore:
    - "No. Non ci farà bene, ci farà malissimo, perché noi siamo gemelli. E va bene, facciamo finta che non ti ho mai disturbato. Però, allora, siccome non possiamo stare lontani tutto questo tempo, io ogni fine settimana andrò su da lui... Abbiamo già pensato a tutto noi, visto che non possiamo contare su nessuno. Non vogliamo soldi da nessuno. Abbiamo fatto dei lavoretti che venderò e così mi compro il biglietto per il treno... E tutto il resto!".
    Zio rimase in silenzio, meditabondo. Aveva capito benissimo il senso di quelle parole della figlia: "...E tutto il resto". Cioè, che – senza più impedimenti – saremmo andati a letto insieme... Per la prima volta, lontani da casa...

    Non disse più nulla in proposito, ma dal suo atteggiamento nei nostri confronti, che tornò benevolo come sempre, intuii che in fondo era pure contento di quell'occasione che si stava volgendo a nostro favore.
    Di tutt'altra opinione fu invece zia, la quale non si era ancora stancata di far si che Blanca fosse definitivamente allontanata da me.
    In buona fede, fu zio a metterla al corrente dei nostri progetti, felice che stavamo trovando la nostra strada. E una sera, che ci trovavamo insieme a cena a casa loro, senza che in quel momento nessuno le avesse dato motivo, disse, come fosse un interrogatorio:
    - "Che cosa vorresti fare tu, Blanca? Tu non ti muovi da qui. E tu (rivolta stavolta a me) vai a Udine che così ti raddrizzano le ossa...".
    Senza volerlo, marito e moglie avevano detto la stessa cosa, ma gemella era troppo "orgogliosa" per lasciarsi "sconfiggere" così platealmente, ma soprattutto la cosa importante era di mettere in chiaro che ormai eravamo padroni delle nostre di noi stessi.
    Le urlò in faccia:
    - "Io vado dove voglio. E non lascerò solo Tato. Rassegnati, lui è il mio gemello, quello vero, non i nostri fratelli! Io voglio soltanto lui!".
    E questo era solo l'inizio...

    4. Come manna dal cielo.

    Il conto alla rovescia era partito, ed io avevo giurato a me stesso che in quei giorni neanche un respiro avrei fatto senza di lei, perché – come diceva il poeta – "del doman non v'è certezza".
    In casa, avevamo troppe distrazioni, e così una sera di tardo autunno – mentre eravamo seduti in giardino, spalla a spalla – Blanca mi disse:
    - "Tato, non ti piacerebbe trascorrere questi ultimi giorni soltanto io e te? Ci guardano tutti con mille occhi e non siamo liberi di farci i fatti nostri...".
    Era il mio stesso pensiero, ma non le avevo detto nulla per non aggiungere altro sale sulla ferita già sanguinante. Ma siccome adesso era stata lei a porgermi quella domanda, accostando la mia guancia alla sua le risposi con un velo di malinconia:
    - "Altroché se mi piacerebbe, vita mia, ma come? E dove? Abbiamo di nuovo tutto il mondo contro!".
    Tacqui, e in quel silenzio sentivamo soltanto rimbombare dentro i battiti dei nostri cuori che stavano andando in confusione. Ci sentivamo così impotenti che a un certo punto la mia gemella mi guardò fisso e mi disse, con un tono di voce dal quale capii che stavolta avrebbe fatto sul serio se solo io fossi stato d'accordo:
    - "Se tutto il mondo è contro di noi, l'unica cosa da fare è andarcene! Non abbiamo chiesto noi di arrivare insieme e forse qualcuno lo ha voluto. Ci aveva fatto vedere quanto è bello vivere così in una sola anima, ma adesso...".
    La ascoltavo come inanimato, e dopo aver elaborato quel messaggio capii che non voleva dire di scappare di casa. Tati voleva che ci dessimo la morte se non avessimo potuto continuare a vivere il nostro sogno. Altro che Giulietta e Romeo!
    Le risposi:
    - "Sei sicura di volerlo? Io sono pronto a seguirti ovunque. Sono certo che in qualunque posto dell'universo andremo ci sarà un posto tranquillo per tutti e due. Ma cosa direbbe mammina? Non si merita un dolore così grande...".
    "Mammina" era uno dei nomignoli con cui chiamavamo Maria Grazia, l'altra cugina più grande di noi di sei anni che fin da subito era diventata la nostra consigliera...
    Così, tentai un accordo, e le proposi:
    - "Ascolta, gemellina. Diamoci un po' di tempo fino alla mia partenza. Se non riusciremo a trovare una soluzione secondo i nostri desideri, faremo come hai detto tu...".
    Di sicuro, non le avrei permesso di fare un gesto simile quando io ero già lontano, perché non sarei stato in grado di rimanere qui senza più la sua presenza...

    Quella notte, come tante altre, ci addormentammo ognuno nella sua casa, ognuno nel suo letto, immaginandoci che quella solitudine era nulla rispetto a ciò che ci aspettava, e l'indomani ci recammo a casa di mammina a raccontarle della sera precedente.
    Disperati ma determinati, poiché quella poteva essere per noi davvero una delle ultime giornate che vedevano il sole...
    Avevamo pensato a tutto nei dettagli e nei tempi. Perfino a riscrivere le lettere necessarie a disporre le nostre ultime volontà.
    Ma Maria Grazia, che per fortuna era riuscita a mantenere la lucidità che in quel frangente a noi mancava, ci diede un ceffone ciascuno. Poi, ci urlò dietro:
    - "Ma siete diventati matti? A tutto c'è rimedio... Per esempio, intanto vi serve un posto dove stare. Mi prenderò la colpa anche di questo, ma a casa vostra non potete rimanere. Mi pare una buona idea, invece, di farvi un gruzzoletto per quando Claudio sarà a Udine. Fatemi pensare un po', ma intanto voi non fate sciocchezze!".
    Ci abbracciammo tutti e tre, perché – come dicevamo quando eravamo più piccoli – anche adesso sarebbe stato "uno per tutti e tutti per uno"...

    Nel frattempo, a casa Blanca era sempre più stanca e inquieta, e io con lei, finché non ci venne a trovare – attesa come la manna dal cielo – Tata.
    Noi gemelli speravamo, anzi eravamo sicuri nel nostro cuore che non ci avrebbe delusi anche lei, e così – in un angioletto e non visti da nessuno – le gettammo le braccia al collo lasciandoci andare in un pianto di nervi.
    Poi, con la scusa di una passeggiata, uscimmo tutti e tre per il quartiere. Ci sedemmo al nostro bar preferito, e lì non si poté più sfuggire alla verità. Maria Grazia, ci guardò un'altra volta, prima uno e poi l'altra, e infine ci prese le mani, fece un sospiro e ci disse:
    - "Ragazzi, ci siamo. Ho pensato bene a quello che mi avete detto e credo di aver trovato la soluzione".
    Era visibilmente emozionata, e con fatica riprese a parlare:
    - "Ricordate di quel casale a Castel Fusano dove nonno aveva quel pezzetto di terra? Beh, anni fa' l'avevo ristrutturato ma non ci è andato più nessuno... Pensavo che potreste stare lì a lavorare. E perché no, a vivere da gemelli. Non vi posso vedere così sbattuti. Tu, Tati, sembri il fantasma di te stessa. E tu, Tato, pensa solo a proteggerla. E basta con quelle brutte idee, siamo ancora tutti così giovani!".

    Non ci sembrò vero che almeno un problema era stato risolto.
    Il giorno dopo, senza dir niente a nessuno, andammo a vedere il posto, facemmo i bagagli e ci trasferimmo lì con l'essenziale. Non avevamo ancora un letto, né un tavolo e nemmeno la cucina – che acquistammo usati –, ma per noi era meglio di un castello, perche finalmente lì dentro si stava riaccendendo la speranza.
    Cominciammo a lavorare instancabilmente, e ogni tanto – con un piccolo banchetto clandestino – ci mettevamo per strada a vendere le nostre cose.
    Devo dire che ottenemmo un buon successo, forse anche perché alla gente che si fermava a guardare Tati raccontava – impietosendola – la nostra storia e a cosa ci servivano quei soldi...

    5. Un aiuto dalla natura.

    Il tempo scorreva veloce, e purtroppo giunse l'antevigilia della mia partenza.
    Quel giorno Blanca si era svegliata di cattivo umore, e io la sentivo girarsi e rigirarsi nel letto. Insieme, restammo così a farci coccole, teneramente assopiti nel calore dei nostri corpi nudi.
    Quando si accorse che anch'io ero sveglio, cominciò a dire:
    - "Ecco, domani sarà tutto solo un bellissimo ricordo... Lo sapevo che dovevamo fare come avevo detto io... È un incubo, Tato, spero di svegliarmi e che sia davvero un brutto sogno... Tu non hai paura di stare da solo? Il fatto è che noi non siamo mai stati abituati...".
    La ascoltavo, e cercavo di "nutrirmi" della sua voce. Temevo che lassù, con il tempo, me la sarei persino dimenticata. Che orrore!
    Infine mi dissi che stavo esagerando, ma non riuscivo a uscire da queste paure.
    Le risposi:
    - "Gemellina mia, perché questo? Dobbiamo ringraziare Tata che ci ha dato questa opportunità, ma forse è stato peggio... Ora la solitudine ci morderà più forte che mai. E tu come farai? E se tua mamma cercherà di fare un'altra porcheria delle sue? Non ci posso proprio pensare...".

    Con Blanca riuscivo sempre a essere me stesso, ma ciò trascinava entrambi nel baratro più profondo.
    Volevo averla sempre al mio fianco, così cominciai a baciarla. Era il segnale muto di un desiderio che stava per esplodere in entrambi... Ci amavamo, e quel giorno non avremmo fatto altro che fare l'amore. Esattamente come avevamo fatto tante altre volte negli ultimi quattro anni, ma stavolta con un qualcosa di più. Perché quando gemella capì cosa volevo, si illuminò e mi gridò talmente forte da stordirmi:
    - "Siiiii... Come abbiamo fatto a resistere fino ad ora?? Facciamolo, Tato!!! Così poi tu gli porti i documenti e non dovrai stare lassù un anno intero...".
    Portargli i documenti? Ma cosa dovevamo fare esattamente? Cosa stava progettando la vulcanica mente della mia gemella?
    Sulle prime non riuscii a focalizzare, ma poi – quando guardai le mie mani posate sopra le sue tette – mi si riaccese il cervello... E di colpo reagii basito:
    - "Oh Tati, ma ti rendi conto di cosa significa? Usarlo SOLO per i nostri bisogni? E se dovesse nascere con qualche problema?".
    In realtà, Blanca mi stava proponendo di fare un figlio perché in questo modo avrei potuto chiedere l'esonero o almeno l'avvicinamento a Roma.
    Dio solo sa quanto anch'io desideravo un bimbo con lei! Sangue del nostro sangue, che avrebbe portato su di sé le "stimmate" del grande amore dei suoi genitori. Ma non era giusto in quel modo. E a 19 anni. E se poi il suo progetto non andava a buon fine? Avrebbe dovuto portare da sola tutto il peso della gravidanza, e magari mia "zia-suocera" l'avrebbe fatta abortire approfittando della mia lontananza...
    Cominciò a battere con "cattiveria" i pugni sul cuscino e – con le lacrime che cominciavano di nuovo a solcare il suo bel viso – a dire:
    - "Merda, merda, merda! Che schifo di mondo... Nessuno capisce quanto ci amiamo! Da sola a casa non ci torno. Ti prego Tato, tentiamo...".

    Eravamo due pazzi, ma anch'io avevo troppa voglia di qualcosa che ci avrebbe legati per sempre (e detto a posteriori, che avrebbe tenuto lontane tante sofferenze postume), e quindi cominciammo a darci da fare.
    Tra una carezza e un tenerissimo bacio cominciammo a toccarci, e arrivò l'eccitazione e con essa - senza amplesso, ma solo toccandoci reciprocamente - un primo orgasmo di lei.
    Conoscevamo la nostra anatomia alla perfezione, e con maestria ed eleganza esaudivamo i reciproci desideri. Mi presi cura di lei, facendole un ditalino bellissimo, i nostri corpi erano scossi da mille sensazioni quando Tati si accucciò tra le mie gambe prendendo in bocca il mio pisello.
    Mi guardò, facendomi capire con gli occhi che non aveva nessuna intenzione di risparmiarsi ma che quel giorno mi avrebbe messo tutta la grinta di cui era capace e mi avrebbe fatto un pompino come non mi aveva fatto mai.
    Allora io le sussurrai:
    - "E allora leccami la cappella! Chissà poi quando ti ricapiterà...".
    Mi fece andare su di giri in pochissimo tempo, con le mani e con la bocca, alternando movimenti forti e delicati, "giocando" con il mio prepuzio e il filetto fino a portarmi sulla soglia del Paradiso.
    Blanca ci sapeva fare, e fu dura resistere, soprattutto quando si dedicò a leccare il perineo. Lì, l'asta ebbe uno scatto repentino, e sulla punta del glande si affacciarono le prime gocce traslucide di precum...
    Con la sola forza di una mano la allontanai dal suo giocattolo preferito, e rotolandoci confusamente tra le lenzuola presi possesso del suo ventre.
    Mentre lei mi carezzava amorevolmente la nuca, mi dedicai con passione al monte di venere – ornato di una rada peluria castana –, che ricoprii di un'infinità di baci, respirando profondamente per assorbire in me tutto il dolce effluvio della sua fichetta.
    Scesi, con la lingua – come mi piaceva sempre fare – in quell'interstizio magico compreso tra la coscia e l'inguine, e Tati proruppe in una risatina prolungata e squillante. Mi disse:
    - "Mi fai il solletico, ma continua, ti prego... È così bello... Non so proprio come farò senza la tua bocca...".
    D'altronde, io non avevo nessuna intenzione di fermarmi, e mi spostai più al centro, sulle grandi labbra. Fin dalla prima volta che le avevo viste me ne ero innamorato, forse a causa della loro conformazione, grassottelle e toste, che quando inavvertitamente sfioravo con le mani fredde la superficie assumeva la caratteristica puntinatura "a pelle d'oca"...
    Mi piacevano così tanto quelle grandi labbra – chiuse su se stesse nonostante in appena quattro anni fossero già state notevolmente usate – che vi indugiai sopra lappandole.
    Ormai sapevo cosa piacesse di più e cosa di meno alla mia gemella, e cosa significavano le smorfie che di tanto in tanto si dipingevano sul suo volto. Così, insistevo – con bonaria malizia – quando la vedevo andare in estasi, "torturando" la parte più sensibile ed evitando di avvicinarmi troppo presto al punto focale...
    Poi, però, naturalmente, quelle meravigliose valve di carne si schiusero senza che nessuno le toccasse, e lasciarono strada alle mie dita che vi furono come risucchiate in mezzo.
    C'era già un discreto laghetto, che mi permise di raggiungere con facilità ed aprire le labbra più interne.
    Là dentro, senza peraltro essere ancora entrato in vagina, il sapore di Blanca era inconfondibile, buono, tanto che – con la bocca a ventosa – mi ci soffermai di nuovo a lungo per succhiare quella grazia di dio.
    Le tenni aperte con due dita, e nel frattempo risalii rapito da quel lembo di carne che custodiva il meglio.
    Come lei aveva fatto con il mio prepuzio, adesso ero io a giocare con il suo. Lo schiacciai verso il basso, ed ecco il grilletto saltare fuori.
    Nella sua fisiologia, Tati lo aveva bello grosso, direi quasi "appariscente".
    Non ci volle molto perché lo afferrassi con le labbra e con delicatezza cominciassi a succhiarlo.
    Cosicché, la mia gemella gemette dal profondo:
    - "Oh siiii... Mi fai morire! Che bello Claudio, voglio essere tua prigioniera... ".
    E subito esplose in un secondo orgasmo.
    Blanca è una di quelle rare femmine che sanno squirtare, perciò mi schizzò fino in gola i suoi umori, aiutata anche dal sottoscritto che per non perdersi nulla e cercare di tenerla ferma le piantò le mani nei fianchi.
    Deglutii tutto, e mentre la mia femmina ancora respirava con affanno lesto le ficcai due dita in fica spingendole in profondità.
    Era così bello che l'eccitazione di entrambi raggiunse livelli mai sperimentati prima. Tati, allora, tirandomi a sé gridò forte:
    - "Ti voglio dentro, tutto, fino alla fine".
    Fuori di me, mi sollevai un poco con il membro in tiro perfetto e la penetrai.
    Blanca mi strinse le gambe dietro i miei lombi, tanto che ebbi difficoltà a muovermi e a pomparla, ma l'importante fu che di lì a poco sentii prepotente lo stimolo di eiaculare...
    Fu davvero un attimo, nel quale come un lampo mi resi conto di quello che stavamo facendo. Niente pillola ne preservativo, e dunque stava per accadere un "disastro". Eh sì, perché in breve tornai a valutare negativamente la possibilità di evitare il militare con un mezzo tanto assurdo... Certo, nonostante la nostra giovane età, un figlio lo desideravamo tanto, ma poi?
    Tentai disperatamente di divincolarmi, ma la ferrea volontà di Blanca vinse. Le venni dentro, fino a scaricare completamente le palle nel suo utero. Oltretutto, erano giorni e giorni che non scopavamo, e quindi ero bello carico...

    Sfinito io e felicissima lei, tornammo ad abbracciarci e a farci coccole, mentre lei mi disse:
    - "Speriamo che vada tutto bene... Sono nei giorni più fertili, ma non si sa mai...".

    6. Una cocente delusione.

    Avevamo fatto tutto per bene, e adesso non potevamo che attendere il corso della natura.
    Per il primo mese di militare anche solo fare una telefonata mi fu complicato – allora non esistevano i cellulari –, e di Blanca non ebbi notizie.
    Lo stesso era pure per lei, che – spalleggiata da Maria Grazia – non era tornata a casa ma continuava a lavorare per il nostro scopo.
    Un mese può sembrare tanto o poco allo stesso tempo, ma per noi che non eravamo abituati a una separazione così lunga cominciava a diventare insopportabile.
    Peraltro, entrambi ci distruggevamo dentro, poiché il responso che più ci stava a cuore non arrivava.
    Tati aspettava con ansia i primi sintomi della gravidanza, ma nulla: ciclo mestruale regolarissimo, niente nausee... Insomma, come se avessimo usato una qualche forma di anticoncezionale...
    Non poteva confidarsi certo con sua madre, anche perche lei non sapeva nemmeno che da tempo avevamo regolari rapporti completi. E poi, cosa le avrebbe potuto dire? Che avevamo progettato di concepire un figlio? L'avrebbe ammazzata...
    Così un giorno si fece accompagnare da Tata e andò a fare il test di gravidanza in ospedale. Gli spiegò che cosa avevamo escogitato per risolvere il nostro "problema", e lei – pur rimanendo dalla nostra parte – le rispose:
    - "Voi siete matti. Ma vi voglio bene lo stesso...".
    I risultati si rivelarono un'autentica doccia fredda: non c'era nessun bambino in arrivo per noi!

    Era disperata, anzi ancora di più. Cosa poteva fare adesso? Doveva decidere tutto da sola, ora che io ero lontano... Mi avrebbe dovuto dire che avevamo fallito, e si sentiva schiacciata da questo peso... Poteva farlo telefonando in caserma, ma anche lì come si presentava? Lei, era "soltanto" mia cugina per chi non ci conosceva, e magari non me l'avrebbero neanche passata...
    L'unica cosa che le era rimasta da fare era ciò a cui aveva pensato fin dall'inizio, e in verità ci provò sulla strada del ritorno. Infatti, lasciata Maria Grazia, mentre aspettava il trenino che la riportava a casa – questo me lo raccontò lei stessa, in seguito – si gettò in mezzo ai binari per mettere la parola fine a tutto, ma proprio pochi minuti prima dell'arrivo del treno (per fortuna) si spaventò e scappò via...
    Una volta, nei giorni seguenti, ripensando a quei momenti, si disse tra se e se:
    - "Sono proprio una stupida! Non sono capace di fare niente... Non sono stata capace di dare un figlio a Tato che ne aveva bisogno, e non sono stata nemmeno capace di farla finita...".
    Poi ci pensò sù e scoppiò in lacrime:
    - "Avrei fatto morire di crepacuore il mio gemellino! Come avrei potuto fare quel gesto lasciandolo da solo? C'è un patto tra noi, e non posso tradirlo...".

    A Udine, intanto, io stavo completando l'addestramento, mentre – ripresasi di nervi – Tati aspettava febbrilmente di potermi parlare.
    Come da tradizione, dopo il giuramento potei usufruire di tre giorni di licenza, e senza perdere tempo corsi da lei.
    Per l'esattezza, fu lei a venirmi ad aspettare alla stazione... La vidi da lontano e la riconobbi ancora prima che il treno si fermasse. Sceso al volo le corsi incontro, abbracciandola.
    Non bisogna mai dimenticare, per capire bene ogni cosa, quella nostra "sensibilità" che ci rendeva unici – e che non venne mai meno – facendoci sentire ogni sofferenza e preoccupazione dell'altro. Percui, io percepii immediatamente che qualcosa non andava. Ma eravamo troppo felici per farci rovinare quegli istanti...
    Così, solo nel nostro rifugio che ci aveva messo a disposizione Tata, Blanca crollò emotivamente per l'ennesima volta e mi raccontò nei dettagli ogni singolo avvenimento da quando io ero partito.
    Si sentiva in colpa per non essere rimasta incinta, e allora io feci di tutto per rincuorarla. E insinuai il dubbio:
    - "E se non dipendesse da te ma da me? Comunque, Tati, è normale che la prima volta possa succedere... Oltretutto, eravamo pure stressati... Dai, non ti preoccupare, vedrai che prima o poi... Tu, invece? Ti stai preparando? Credo che dovremo concentrarci sulla seconda ipotesi. Appena rientro comincerò subito a cercare un piccolo albergo che ci possa accogliere senza chiedere troppe spiegazioni...".

    7. Di nuovo insieme.

    Per quei giorni, i gemelli rinacquero a nuova vita. A Roma o a Udine poco importava, ma adesso l'importante era che si stava di nuovo insieme....
    E fu bellissimo dimenticare la lontananza. Posai a terra lo zaino e mi sedetti, stanco, sulla prima seggiola che trovai dietro di me, ma non feci in tempo a emettere un profondo sospiro dì sollievo per essere finalmente a casa che Blanca mi salì sopra a cavalcioni. Faccia a faccia, mi gettò le braccia al collo.
    Entrambi emozionatissimi come fosse stato il primo incontro, restammo così a fissarci – io, perso nei suoi incantevoli occhi slavati e color nocciola – e a ritrovare la familiarità dei rispettivi tratti somatici.
    Fuori dal tempo, non so per quanto rimanemmo inerti in uno stato che fu interrotto soltanto dal pianto incessante e angosciato di Tati. La quale, apparentemente senza un motivo, esplose.
    Mi fece una gran pena, trascinandomi nella sua stessa disperazione.
    Infine, mi spintonò e mi disse:
    - "Tu non immagini nemmeno come sono stata male... Senza di te, è stato l'inferno, come... Come se mi mancava il cuore! Non ce la posso fare, Tato, a tirare avanti per altri undici mesi!".
    Era proprio così. Nei trenta giorni precedenti, infatti, anch'io avevo vissuto una sensazione identica alla sua, e prendendola per i polsi mi avvicinai a lei che quasi le nostre labbra si sfiorarono.
    Avrei dovuto essere felice, ma invece avevo lo stomaco sottosopra come se qualcuno me lo stesse mangiando... E le risposi:
    - "Oh, gemellina mia, che tristezza! È vero, abbiamo vissuto dei momenti terribili, e io ho sentito... Sì, sentito come solo noi due possiamo sentire... Ho sentito cosa stavi facendo, e ho pregato che qualcuno o qualcosa ti fermasse... Almeno fino al mio ritorno... Ricordi il nostro giuramento? Così come siamo arrivati insieme, insieme ce ne andremo! Siamo come due anelli incrociati l'uno nell'altro e che nessuno potrà mai separare! Perciò, se ti dovesse succedere qualcosa, sappi che io sono pronto a volare via per venire a raggiungerti!".

    Queste mie parole, non riuscirono a farci stare meglio, ma almeno ci diedero la possibilità di sfogarci.
    E un'unica cosa ci avrebbe ridato pace, trasformando quelle chiacchiere in un'energia inesauribile: il dono reciproco di noi stessi, fino in fondo...
    Uno sguardo ci bastò per intenderci, e senza muovere un passo da quella posizione cominciammo ad amarci...

    Blanca, quel giorno, indossava un paio di pantacollant elasticizzati – dai quali però non riuscivo a capire se sotto avesse o meno il suo solito perizoma – e una felpa con cappuccio che non lasciava trapelare nulla.
    Io, invece, ero arrivato vestito da militare: pantaloni e camicia grigio-verde...
    Iniziai a respirare affannosamente per la smania di "metterle le mani addosso", fino a che non ce la feci più e le afferrai la felpa.
    In un attimo, mentre lei stava su con il busto eretto, gliela sfilai dalla testa, e man mano che la sollevavo mi si cominciò a svelare tutta la sua bellissima candida carnagione.
    Mi succedeva sempre così quando la spogliavo: il cuore accelerò i battiti, e le mie mani presero a tremare, finché non giunsi a scoprirle tutto il torace...
    In quell'istante mi calmai... Avevo due magnifiche tette sotto i miei occhi, lasciai andare la felpa e la presi per i fianchi.
    Solo adesso potevo dire di essere davvero "a casa", perché il mio vero rifugio - la mia vera "casa, da sempre - era il corpo di Blanca.
    Tremante, le confidai:
    - "Dio, quanto mi sei mancata, quanto mi sono mancate anche loro...".
    E, con le mani aperte sulla sua schiena a palpeggiarla centimetro dopo centimetro, me la avvicinai lentamente fino a raggiungere quelle tette così incredibili – una quinta più o meno – e nel pieno del loro radioso splendore.
    Ogni muscolo era teso, e con la bocca "impastata" nel solco creato da quelle meraviglie, sussurrai:
    - "Ecco, ora sì che sto di nuovo bene... Io ho bisogno soltanto di te!".
    Poi alzai appena il capo e mi ritrovai "a tu per tu" con delle areole infinite.
    Non esitai neanche un secondo e iniziai a passarci sopra la lingua, mentre Blanca stava andando, piano piano, fuori giri... Le leccai torno torno, per assaporare la loro asperità e nutrirmi di quel senso di salino che la sua pelle – sudata – cominciava a secernere...
    I capezzoli "prepotenti", che nel frattempo si stavano inturgidendo, invogliavano ad essere succhiati, e così feci. Li serrai dolcemente tra le mie labbra e i denti, tirandoli leggermente a me e provocandone un certo allungamento. Brevemente li toccavo, provocando alle mammelle un contemporaneo ma contenuto movimento sussultorio.
    Sembrava che non riuscissi più a separarmi dal corpo di gemella, e in effetti quel calore così "terapeutico" che emanava mi incoraggiava a restarvi attaccato.
    Alla cieca, andai a cercare i suoi fianchi tondeggianti, e tastai quel pancino leggermente sporgente che mi aveva sempre mandato ai matti e che avrebbe potuto ospitare nostro figlio.

    Intanto Blanca gemeva forte, e in modo quasi "disordinato" si avventò sulla mia camicia rischiando di strapparla.
    La redarguii, dicendole:
    - "Tati, stai attenta, che poi la devo restituire...".
    Ma lei, imperterrita, mi rispose, tutta piccata:
    - "E tu pensi a queste stupidaggini? Lasciami fare, oggi non ho proprio voglia di pensare alle buone maniere...".
    Continuò con le sue manovre, e infine rimasi anch'io a torso nudo... Fu bellissimo, perché eravamo nella stessa identica condizione... Gemella non mi diede neanche il tempo di replicare che fece a me quello che io poc'anzi avevo fatto a lei. Si chinò in avanti e si prese cura dei miei capezzoli che - per essere un uomo - erano parecchio sviluppati.
    Sapeva, la mia porcellina, che quelle attenzioni per me – in specifiche circostanze – erano meglio dei lavori di bocca, e vi si impegnò a fondo... Cominciò a morderli come se avesse fame di me, e vi si attaccò succhiandoli. Lo faceva spesso quando eravamo più piccoli – come se io potevo allattarla – e ciò la tranquillizzava.
    Mi pizzicò e tirò delicatamente i capezzoli con le punte delle dita e poi con la lingua, portandomi a un livello di eccitazione mai raggiunto prima.

    Allora, mi accorsi che stavo perdendo il controllo del "gioco", e prendendola per le spalle le sollevai il busto. Scesi lungo i fianchi, e afferrai i pantacollant per l'elastico.
    Dio, non ci potevo credere! Sotto non aveva nulla, e guardando meglio notai il segno inequivocabile della spacca. Proprio lì, inoltre, l'indumento aveva una macchia scura, ad indicare che si stava bagnando...
    Ci guardammo, e lei con un sorriso fantastico mi confermò che avevo ragione.
    Così, seduta sulle mie cosce, unì le sue braccia dietro al mio collo per sostenersi meglio, e stese le gambe sopra le mie spalle. Aveva capito perfettamente cosa volevo, e infatti mi accinsi a far scendere il pantacollant fino a superare a fatica il punto in cui il suo culo era a contatto con le mie gambe.
    Volevamo fare tutto senza alzarci, e ci riuscimmo.
    Ora Tati era completamente nuda, come non la vedevo da tempo, a cavallo di me come una provetta cavallerizza, mentre io avevo ancora addosso i pantaloni e le mutande della divisa.
    - "Uffa...", sbuffò, "così non riuscirò mai a spogliarti...".
    E infatti non ci fu verso di farlo mantenendo quella posa da sesso acrobatico. La feci alzare sollevandola per i fianchi, e lei capì. Mi si inginocchiò dinanzi per ricambiare il favore, e in un attimo fui anch'io nudo, con le palle gonfie e il cazzo che svettava verso l'alto, "avvolto" ancora nel suo prepuzio...
    Eravamo felici come due bimbi. Avevamo dimenticato in breve tutti i nostri problemi, e ci accingevano al meglio.
    Istintivamente, ci abbracciammo, e la mia cappella andò a strusciare proprio nel bel mezzo della sua fessurina. All'istante, provammo un brivido, simultaneo. Mi sedetti di nuovo, e indicai a gesti a Blanca cosa volevo...
    Senza dir nulla, mi prese il pene in mano fingendo di direzionarlo all'ingresso della vagina, salì lesta sopra di me e si lasciò infine trafiggere.. lo sfintere!
    Restai senza fiato... Non sono mai stato un superdotato, ma la larghezza del mio attrezzo è tale da farsi sentire bene, figurarsi senza una preventiva lubrificazione...
    Ebbene, quella femmina aveva mille risorse, e sapeva sempre sorprendermi con esperienze che sapeva rendere uniche.
    Iniziò a saltare come una indemoniata, ululando. Dapprima – me ne accorsi da una smorfia che si dipinse sul suo viso – per il dolore, ma poi per il piacere che quella penetrazione le stava dando...
    Per avere maggior stabilità, si era anche appoggiata con le mani sul mio petto, ed ora andava come un treno.
    Stordito da tanta irruenza, non saprei dire quanto tempo passammo così, ma all'ennesima volta che il suo culo schiacciò le mie palle non riuscii più a trattenermi e mi svuotai completamente nel suo intestino. Non prima, però, di averle torturato a dovere il clitoride, cosicché venimmo praticamente all'unisono...
    Mi si accasciò sopra come su un morbido cuscino (già allora ero abbastanza rotondetto) e strinse i glutei. Mi baciò e mi disse:
    - "Non è giusto sprecare... Voglio tenerti tutto dentro".
    Poi – evidentemente stava ripensando alle parole che aveva appena detto –, senza preavviso si sollevò un poco e mi diede un pugno sulla pancia.
    E mi spiegò:
    - "Scusa Tato, non volevo... È che mi sarebbe piaciuto riprovare!".
    Lì, non c'erano più dubbi, gemella avrebbe voluto riprovare a rimanere incinta di me...

    Quella scopata era stata favolosa e di una tenerezza infinita, ma era stata soltanto una parentesi.
    Ora, tutti e due ci sentivamo di nuovo a pezzi. Tra meno di quarantott'ore, io sarei ripartito, e il ricordo di quel momento ci avrebbe dato lo slancio per trovare il modo di vincere la lontananza...

    8. Un brutto incontro.

    Ripartii con il cuore a pezzi, ma cercando di non darlo a vedere a gemella.
    Anche lei era "sotto a un treno", e fu meno brava di me a nasconderlo.
    Così, mi misi subito all'opera. Durante le ore di libera uscita, battei la città in lungo e in largo, e finalmente – in estrema periferia – trovai ciò che faceva al caso nostro: un hotel a ore, dove nemmeno le prostitute del luogo andavano più per quanto era ridotto in uno stato a dir poco fatiscente.
    A noi, però sarebbe andato benissimo, e dopo aver trattato a lungo con il proprietario riuscii a spuntare un prezzo accettabile...
    Ero felicissimo, e rientrando in caserma non chiusi occhio quella notte, nella prospettiva di dare a Tati la bella notizia.
    Passò un altro giorno intero, e la sera successiva chiamai al telefono Maria Grazia – poiché nel casale di Castel Fusano non c'era la linea telefonica – pregandola di fare da tramite con Blanca, e di permetterle di ricevere la mia telefonata.
    Ovviamente, saputa la buona notizia, "mammina" si rese immediatamente disponibile, andò dalla mia gemella e insieme attesero l'orario per l'appuntamento.
    È inutile dire che anch'io ero in fibrillazione, e quando all'altro capo del telefono Tati rispose, in un sol fiato le annunciai:
    - "Ce l'abbiamo fatta, cuoricino mio, l'ho trovato!".
    Poi, le spiegai tutti i dettagli, e infine le dissi, emozionato:
    - "Ormai non ci saranno più problemi, il peggio è passato... Non devi più piangere, perché da adesso in avanti non ci dividerà più nessuno... Non potranno più farli, e non ce ne sarà più motivo...".
    E chiusi:
    - "PERCHÉ NOI SIAMO GEMELLI...".

    Dall'altra parte, ci fu un lungo silenzio, seguito da un grande pianto, che non era più un pianto di angoscia ma di liberazione.
    Attesi, e dopo un po' ecco la voce di Blanca:
    - "Tato mio, ma è bellissimo! Comincio subito a preparare la valigia e sabato ci vediamo! Ero sicura che ce l'avresti fatta, perché tu mantieni sempre la parola... Io... Io non so che dire... Sono orgogliosa del mio gemellino... Sai, mia madre è furiosa che sono scappata via di casa, e stavolta se l'è presa con mammina... Povera mammina!, per difenderci...".
    E riprese a singhiozzare...
    Purtroppo i gettoni erano finiti – all'epoca di usavano le cabine telefoniche –, ma ormai poco importava. Di lì a qualche giorno ci saremmo rivisti, e per me e Tati contava solo quello...

    E giunse il venerdì sera.
    La mia cuginetta era emozionatissima, perché da lì a poche ore ci saremmo riuniti, mentre io ero rientrato da poco in caserma dopo essere stato a dare un'ultima sistemata alla camera dell'hotel. Tutto doveva essere perfetto, e la mia trepidazione era alle stelle, forse anche perché si riaffacciò nel mio cuore quello strano sentimento. Sentivo che qualcosa stava per accadere... E – steso nella mia branda – una lacrima scese spontanea a rigare il mio volto...
    Infatti, alle 23 in punto, il treno che me l'avrebbe condotta si mise in marcia.
    Lei era vestita come al solito in maniera non appariscente – un paio di jeans attillati e sopra un giubbino nero di pelle –, benché il suo fisico colpiva sempre chi la guardava (e questo era un "inconveniente" di cui non avevo tenuto conto quando le proposi di venire da sola su da me).
    Era sola nello scompartimento e questo le fu dì sollievo, ma ecco che alla prima fermata salirono tre ragazzi sui 20 anni, in divisa, e che da come si comportavano dovevano conoscersi bene tra loro.
    Blanca cominciò a sentirsi a disagio, anche perché i tre – per rompere il ghiaccio – cominciarono a farsi invadenti e a farle un sacco di domande personali:
    - "Ciao, come ti chiami? Che cosa fai tutta sola a quest'ora?", disse uno.
    E un altro:
    - "Ma c'è l'hai un ragazzo che ti lascia andare da sola a quest'ora di notte? Evidentemente, non è buono a scoparti, e magari tu cerchi un diversivo...".
    Si misero a ridere, mentre Tati era sempre più imbarazzata.
    Si guardò per vedere se il suo abbigliamento potesse destare "cattivi pensieri", ma – a parte la sua avvenenza su cui non poteva farci nulla – non aveva nulla fuori posto.
    A un certo punto, quello che non aveva ancora parlato si alza e chiude le tendine dello scompartimento. Poi si rimette a sedere, mentre quello che aveva davanti le sfiorò le gambe aprendogliele leggermente.
    Blanca non voleva crederci che stava accadendo davvero, e dentro di sé si disse:
    - "No, Tati, rilassati, è la tua immaginazione... Hai così voglia di gemello che...".
    Ma non riuscì a finire quel pensiero che un'altra mano si aggiunse alla prima
    Mia cugina non riuscì a muoversi dalla paura, ma si accorse di essere tutta bagnata nelle parti intime.
    Poi, improvvisamente, i tre le tirarono giù i jeans. Avrebbe voluto gridare, chiedere aiuto, ma sapeva che quella carrozza era deserta, e il controllore era già passato, e le sembrava di essere in un sogno.
    Ma quando quei maschi – rompendo gli indugi – si tirarono giù i pantaloni e lei vide tre cazzi duri e grossi, allora si scosse e capì che era tutto vero...

    Gemella, benché formosa, all'epoca era minuta, e pesava non più di 45 kg. Perciò, quando simultaneamente se li trovò addosso fu presa dal panico. Gridò, supplicando quei maledetti:
    - "Oh no, lasciatemi! Non voglio... L'ho fatto solo con Tato mio, e sono solo sua!".
    Ma uno dei tre ribatté, sprezzante:
    - "Uno che lascia la sua donna da sola, di notte, deve essere una checca... E tu, puttanella, non fare tante storie...".
    Per dieci interminabili minuti Blanca lottò con tutte le sue forze, urlò più forte che poteva, e alla fine riuscì a scrollarseli di dosso sferrando un calcio di rabbia nei genitali di uno di quei maiali.
    Scappò, terrorizzata, fino a raggiungere un'altra carrozza dove nel frattempo erano salite delle persone.
    Per tutto il resto del viaggio non chiuse occhio, terrorizzata che quei delinquenti potessero raggiungerla anche lì.

    La mattina seguente, Udine le si presentò sotto un sole splendente, ma nel suo cuore era ancora notte. C'era mancato davvero poco che venisse violentata per "colpa" mia, e solo la forza della disperazione aveva evitato il peggio...
    Io, intanto, avevo davanti una giornata di lavoro, ma quel giorno mi ero svegliato di soprassalto. L'avevo sognata che gridava tendendo una mano verso di me, ma era come muta e la sua voce non mi arrivava, e io non riuscivo ad afferrarla...
    Non era normale, quella doveva essere per noi una giornata superlativa e invece nell'aria era palpabile un grande nervosismo.
    Cosa era successo? Guardai l'orologio e mi dissi:
    - "Tati è qui... Ancora un po' di pazienza e ci siamo...".

    9. Ho aperto gli occhi.

    E finalmente giunse l'ora della libera uscita. Gemella era davanti alla porta carraia della caserma insieme ad un gruppetto di ragazze che aspettavano l'uscita dei propri "morosi", come dicono da quelle parti.
    Fuori dal cancello, la riconobbi all'istante e le corsi incontro mentre lei stava facendo la stessa cosa.
    Ero felice, avevo la mia gemella tra le braccia e avrei trascorso un fine settimana con lei. Che cosa avrei potuto pretendere di più?
    Quando però le presi il viso tra le mani per baciarla mi accorsi subito che nei suoi occhi non risplendeva la solita luce, ma la paura. E rimasi impietrito in quella posizione... Un sesto senso, e poi un brivido di terrore... Le domandai, tornando a stringermela al petto, mano nella mano:
    - "Blanca... Cosa è successo? Sento che è successo qualcosa di brutto, a me puoi dirlo vita mia...".
    E proprio mentre lei mi stringeva la mano più forte e stava per dirmi qualcosa, ecco che alle mie spalle udii degli schiamazzi indirizzati nei miei confronti.
    Pensai ai soliti scherzi, ma quando quei miei commilitoni mi raggiunsero mi gridarono:
    - "Ehi Claudio, ma allora è veramente la tua ragazza... Certo che potresti insegnarle le buone maniere!".
    E giù un'altra risata...

    Non ero in vena di scherzi, e lasciai perdere, anche perché mi ero accorto che Tati aveva cominciato a tremare... Pensai avesse freddo, visto che lassù a dicembre cominciava già a fare la neve, e tenendola sottobraccio la esortai:
    - "Oh Tati, amore mio, ma tu stai tremando... Perdonami... Hai freddo? Su, dai, andiamo in albergo, sarai pure stanca...".
    In realtà, la mia gemella aveva riconosciuto senza ombra di dubbio i suoi "aggressori", ma conoscendomi (come ricorderete, avevo rotto il setto nasale a un compagno di scuola per molto, molto meno) non mi disse nulla...

    Era pressappoco la mezza, e avevo fatto bene a scegliere un posticino lontano dalla caserma, infatti non incontrammo nessuno di coloro con cui avevo a che fare tutti i giorni. Lì potevamo stare tranquilli...
    Ma in camera avvenne una cosa strana. Visto che avevamo la comodità della vasca, mi feci premura di consigliarle di farsi un bel bagno caldo. Volevo aiutarla a spogliarsi anche per ritrovare la nostra intimità, ma lei reagì facendo un balzo indietro e si coprì il corpo con le mani.
    Sorrisi, e volendo fare lo spiritoso esclamai:
    - "Oh scusa, credevo che fossimo ancora i gemelli!".
    Allora Tati, rendendosi conto della illogicità del suo comportamento, sconfortata manifestò tutto il suo dispiacere:
    - "Cazzo, proprio con te che mi vuoi bene... Non volevo Tato... Noi saremo sempre gemelli... Il fatto è che...".
    Mi guardò con uno sguardo timorosa di non essere capita, e poi:
    - "Il fatto è che stanotte in treno... Hai visto quelli che poco fa ti hanno preso in giro davanti alla caserma? Beh, stanotte erano in treno con me e hanno cercato di DIVERTIRSI, ma stai tranquillo io sono scappata giusto in tempo...".
    Restai di sasso. Avevano cercato di violentare Tati! Bastardi! E se fosse successo davvero, ora dove eravamo?
    Mi dissi:
    - "È stata tutta colpa mia che non ho valutato bene il pericolo che lei, da sola, di notte, poteva correre! Come posso essere stato così stupido a non capire... Non è successo niente... Eccome se non è successo niente... Blanca è terrorizzata...".
    Diedi un calcio contro il muro dalla stizza, poi mi calmai e tornai a guardarla... Mi sembrò essere diventata piccola piccola, e aspettava che dicessi qualcosa, come una sentenza, come se la responsabile fosse lei...
    Allora, le tornai vicino e la abbracciai con un amore infinito:
    - "Tu non ti devi giustificare, vita mia... Non ce l'ho con te, ero arrabbiato con me stesso, perché non ho saputo proteggerti. Ti prometto che non succederà più, non ti lascerò più sola... Se vuoi, ti do i loro nomi e li denunci... E se fossero riusciti a fare di peggio?", le domandai ben sapendo entrambi qual'era la risposta.

    Sapevo che quella sarebbe stata una ferita difficile da rimarginare, quell'incontro non lo avrebbe dimenticato per tutta la sula vita, ma sapevo anche che se le avessi chiesto ancora di viaggiare da sola lei lo avrebbe fatto per me. E in quel momento decisi che non glielo avrei mai più chiesto:
    - "Ascoltami... Noi ci abbiamo provato, e io ti ho chiesto troppo... La prossima volta, verrò io giù a Roma... Pensa se fosse successo qualcosa di irreparabile... No, non ci voglio nemmeno pensare...".
    Ce ne rimanemmo in silenzio per un bel po', dondolando con struggente desiderio di buttarci tutto alle spalle, ma in quell'assenza di parole – prima sommessamente e poi sempre più forte – la sentii piangere. Cercava di trattenersi, ma avrei udito pure uno spillo che le trafiggeva il cuore...
    La guardai, muto, mentre le lacrime scendevano come un torrente in piena.
    Fu allora che mi venne spontaneo di fare quel movimento che tante volte, a vicenda, avevamo fatto l'uno con l'altra. Andai a leccare quelle goccioline infinitesimali che la facevano soffrire, come a dirle senza usare una sola parola: "Sono qui, a prendermi e condividere il tuo dolore"...
    Piano piano, la crisi passò, e allora le chiesi:
    - "Hai fame?".
    Ma lei, fece un cenno di no con la testa...
    In quei momenti, in effetti, avevamo bisogno di una sola cosa... Scossi come eravamo, dovevamo ritrovare la nostra integrità. Certo – lo ripeto ancora – "non era successo niente", ma ci avevano portato via la nostra spensieratezza e fiducia nel prossimo...
    Così, le proposi, con tatto, timoroso di un'altra reazione:
    - "Mettiamoci a letto, se non vorrai non facciano nulla... Soltanto coccole...".

    Dopo qualche minuto, benché fosse ancora giorno, eravamo già sotto le lenzuola, e avevamo lasciato il mondo fuori dalla porta.
    Prima, però, di togliersi tutti gli indumenti, gemella mi mostrò una cosa: la sera precedente, prima di partire, aveva indossato il reggiseno e il perizoma di pelle che le avevo regalato io. Era tutto strappato, e forse era stato quello a salvarla.
    E io, avevo aperto gli occhi. Per lei, ero e sono pronto a qualunque cosa...

    10. Dalle stelle alle stalle.

    Dopo quei fatti, non chiesi più a Blanca di venire su da me, e purtroppo io non potevo "scendere" tutte le settimane.
    Vivemmo quella nuova lontananza – se mai ce ne fosse stato bisogno – come una prova per la nostra storia... Ci furono momenti in cui ci sembrò di impazzire, con la reciproca solitudine che ci strappava l'anima, ma cercammo di vedere il lato positivo della cosa, e cioè che intanto i mesi trascorrevano inesorabilmente.

    Finalmente, verso la fine del mese di ottobre dell'anno successivo, fui di nuovo a Roma. Per sempre.
    Nel frattempo, mia zia era venuta a sapere di quella notte in treno, e non volle sentire ragioni. Riportò Tati a casa sua e – tanto per cambiare – incolpò me dell'accaduto.
    Zio, invece, fu più benevolo, e fu grazie a lui che potemmo continuare a frequentarci al sicuro.
    Al villino, infatti, non c'erano barriere di sorta, e le porte erano sempre aperte. Ma i nostri fratelli, per invidia del nostro amore, cercarono ancora di ostacolarci facendo in modo di non lasciarci mai soli.
    Era una situazione insostenibile, tanto che dopo qualche tempo scoppiò l'ennesima "bomba"...

    Una sera, una di quelle in cui non faceva ancora troppo freddo, ci trovavamo nel nostro angolo di giardino – che avevamo eletto a nostro rifugio – a godere della presenza l'uno dell'altra, con Blanca riversa di schiena sul mio basso ventre, quando la sentii mormorare con tono lamentoso:
    - "Mi sento male, Tato...".
    Mi voltai di scatto verso di lei, preoccupato, e le accarezzai il viso. Le domandai:
    - "Cosa ti senti?".
    E lei:
    - "È da quando sei tornato che non riusciamo a fare l'amore... Ho i crampi alla mia cosina e tu non te ne puoi occupare. In casa neanche a dirlo... Se continua così, io impazzisco! Era così bello quando stavamo da Tata... Come una vera coppia, e facevano tutto liberamente... Oh Tato, fai qualcosa!".
    La presi per mano e ci alzammo... Avevamo bisogno di scaricare quel nervosismo che aveva contagiato anche me, e allora facemmo una "passeggiata" torno torno al villino... Una, due, tre volte...
    Finché, a un certo punto, ci cadde l'occhio sulla porta in ferro del locale caldaia. Ci guardammo, e in un istante il pensiero mio fu anche il suo...
    Mi fece:
    - "Ti piace? Per me andrebbe bene anche una cantina piena di sorci. Non ce la faccio più, veramente!".
    Per me, non era una questione se mi piacesse o meno, l'importante era che potessimo finalmente tornare ad amarci. Così, le diedi un bacio sulla fronte con tutta la dolcezza di cui ero capace, e le risposi sottovoce:
    - "Con tutta la voglia che abbiano, ce lo faremo andare bene...
    Era parecchio tempo che nessuno vi entrava, come dimostrò il fatto che quando la aprii la porta cigolò di brutto.
    Dentro non me lo ricordavo, ma con il tempo era diventato più che altro un deposito, tanto che la fortuna fu dalla nostra parte. In un angolo, infatti, era accatastata una branda pieghevole con tanto di materasso. Certo, non era il massimo del confort, ma questo avevamo e di questo ci dovevamo accontentare...
    Dissi a Blanca, indicandole quel giaciglio di fortuna:
    - "Dai, aiutami ad aprirlo".
    Lo stendemmo nel poco spazio che avevamo a disposizione, e poi la esortai:
    - "Sbrighiamoci, che se ci cercano...".
    Ma lei mi rispose:
    - "Ti ricordi quando a scuola ci si sono messi in sei per dividerci? Beh, stavolta non mi separeranno da te neanche in mille!".
    Ci spogliammo gettando all'aria i vestiti, e poi gemella si mise a novanta gradi, alla pecorina... Le piaceva tanto quella posizione, e anche a me. Così avevamo cominciato la prima volta grazie alla sua intraprendenza, quando lei giustificò la cosa – non me lo dimenticherò mai – dicendo:
    - "Sai Tato, ho visto che i cani scopano così".
    Fu di una ingenuità sconvolgente quella spiegazione, ma eravamo poco più che bambini, e la posizione del missionario già ci sembrava cosa da vecchi...

    Insomma, era talmente su di giri che forse non si rese conto del linguaggio che stava usando. Mi spronò:
    - "Dai, sbattimi...".
    Appoggiai le mie mani ai suoi fianchi che adoravo, e – felice – in un sol colpo le fui dentro. Senza preliminari, ditalini o pompini vari...
    Avevamo fretta. Fretta per non farci scoprire, ma pure fretta di amarci. Non potevamo più aspettare, era troppo tempo ormai che...
    La scopai forte e veloce, proprio come fanno i cani che lei evocò quel giorno...
    Tati cominciò a gemere, e visibilmente accalorata cominciò a strofinarsi il clitoride con veemenza, mentre io la tenevo per i capelli raccolti in due treccine – non come atto di sottomissione ma perché quando facevamo quella posizione così voleva lei – e le sbattevo le palle sulle chiappe tanto cercavo di andare più giù possibile.
    Ero talmente teso che di lì a poco sarei esploso nella sua micetta, ma pompata dopo pompata accadde che all'ultimo inserimento sbagliai canale e scesi nell'intestino con la stessa foga che stavo usando nella fica...
    Non era mai successo che usassimo questa "procedura" così immediata, ed era veramente tanto tempo che non lo facevamo, tanto che inizialmente – vuoi la disabitudine, vuoi che nella mia massima espansione il cazzo aveva raggiunto una larghezza ragguardevole – le feci un po' male.
    Gridò, e poi mi disse:
    - "Era una vita che non ci entravi, non ero più abituata... Ma come vedi, non ti ho mai tradita quando sei stato lontano...".
    Dispiaciuto per averle mancato di rispetto, lo tirai fuori, e solo dopo pensai:
    - "Oh Tatina mia! Non mi è mai passato neanche nell'anticamera del cervello l'idea che tu potessi averlo fatto!".
    Visto che ormai era successo, lo rimisi dentro a quel buco, ma questa volta facendo più attenzione... Piano piano, di modo che si abituasse...
    Le piaceva, anche se vedevo che la dilatazione rettale senza lubrificazione le faceva male, ci faceva male. Però, il piacere di entrambi lentamente superò il dolore, e presi ad incularla con la stessa forza con la quale prima l'avevo scopata.
    Finché, all'apice del godimento, non le inondai le viscere... Sentivo il calore delle sue budella e quello della mia sborra...
    Che bello che era, tutto era stato così fortemente desiderato che un senso di soave appagamento cominciò a pervadere le nostre teste.
    E più questa sensazione si spostava dal fisico alla mente, e più sentivo il mio ventre pompare sperma dentro gemella...

    Saremmo andati avanti ancora per chissà quanto se - all'improvviso - non udimmo il cigolare della porta. Blanca ebbe un sussulto di paura, ma io – che ero di spalle – minimizzai:
    - "Tranquilla Tati, sarà qualche randagio, ma arriva tardi perché qui è tutto occupato...", le dissi scherzando.
    E scoppiammo a ridere. Una risata fragorosa che, nel corso della notte e a causa di quell'ambiente così angusto, rimbombò, interrotta dalla voce ululante di zia.
    Essendosi infatti svegliata e non avendo trovato nel suo letto la figlia, era andata a cercarla dappertutto, trovandola infine con me in quel luogo...
    Restammo impietriti. Evidentemente, era il nostro destino essere sorpresi durante un appagante sesso anale, così come era accaduto al collegio. Stavolta, però, non c'era zio a difenderci.
    La megera mi prese per un braccio ed entrambi ci alzammo da quella posizione, abbracciandoci per i fianchi. Nudi come eravamo, non provavamo vergogna, poiché ci era sempre stato naturale fin da piccoli.
    Zia, invece, prese ad aggredirci:
    - "Credevo che eravate diventati più maturi. Possibile che non capite che siete cugini, accidenti!".
    Blanca era fuori di testa, sia per quello che aveva detto la madre, e sia perché ci aveva interrotti nel momento in cui ci stavamo gustando gli effetti di quell'atto. Così, le urlò furibonda:
    - "NOI SIAMO GEMELLI. Ci vogliamo bene, ma non come cugini normali. Noi ci amiamo. Accettalo una volta per tutte!".
    Ma la donna non era mai stata tenera, e anche stavolta minacciò provvedimenti drastici:
    - "Puttanella, domani facciamo i conti".

    Non scherzava, purtroppo... E infatti, un'altra "tragedia" ci aspettava...
     
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