Ddl Zan, testo integrale e significato

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    Il Ddl Zan contro l’omotransfobia è un disegno di legge per la «prevenzione e il contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità» (qui il testo completo).


    L’articolo 1 del Ddl Zan e l’identità di genere

    L’articolo 1 del Ddl Zan definisce i termini usati per descrivere le categorie che subiscono violenza e discriminazione in virtù di quello che sono (e non di quello che fanno) e che per questo devono essere protette. È stato introdotto grazie all’emendamento Annibali (così chiamato dalla parlamentare pd Lucia Annibali che lo ha firmato), dopo che la Commissione Affari Costituzionali e il Comitato per la Legislazione avevano chiesto di definire in modo rigoroso le nozioni utilizzate nel disegno di legge.

    Art. 1. (Definizioni)
    1. Ai fini della presente legge:
    a) per sesso si intende il sesso biologico o anagrafico;
    b) per genere si intende qualunque manifestazione esteriore di una persona che sia conforme o contrastante con le aspettative sociali connesse al sesso;
    c) per orientamento sessuale si intende l’attrazione sessuale o affettiva nei confronti di persone di sesso opposto, dello stesso sesso, o di entrambi i sessi;
    d) per identità di genere si intende l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso, indipendentemente dall’aver concluso un percorso di transizione.

    Inoltre la formula «ai fini della presente legge» limita la validità delle definizioni elencate all’articolo 1 esclusivamente al ddl Zan e fa sì che non possano essere usate per cambiare l’interpretazione di norme già esistenti. In generale il riferimento all’identità di genere nel ddl Zan non modifica in nessun modo la legge esistente sul cambio di genere sui documenti (la cosiddetta legge sul transessualismo del 1982), che prevede si possa modificare il sesso all’anagrafe solo dopo un lungo processo che include la psicoterapia e solo con l’autorizzazione di un giudice. «Non è vero che il disegno di legge Zan autorizzerebbe a cambiare la propria appartenenza di sesso solo con un’autodichiarazione. Tantomeno autorizzerebbe interventi medici intesi a rallentare lo sviluppo sessuale di bambine/i che manifestano un’incertezza sulla propria identità sessuale. O ancora non offre una soluzione alla questione se le atlete transessuali che da uomini sono diventate, anche legalmente, donne possano concorrere con atlete che sono state sempre donne, vista la diversa conformazione dell’apparato muscolare» come ha spiegato la sociologa Chiara Saraceno in intervento sulla Stampa.
    L’articolo 2 del Ddl Zan e il codice penale

    L’articolo 2 del Ddl Zan aggiorna l’articolo 604-bis del codice penale. Si tratta di uno degli articoli che regolano i «delitti contro l’eguaglianza» e prevede che sia «punito:
    a) con la reclusione fino ad un anno e sei mesi o con la multa fino a 6.000 euro chi propaganda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi;
    b) con la reclusione da sei mesi a quattro anni chi, in qualsiasi modo, istiga a commettere o commette violenza o atti di provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi».

    L’articolo 604-bis del codice penale stabilisce inoltre che «è vietata ogni organizzazione, associazione, movimento o gruppo avente tra i propri scopi l’incitamento alla discriminazione o alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi. Chi partecipa a tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi, o presta assistenza alla loro attività, è punito, per il solo fatto della partecipazione o dell’assistenza, con la reclusione da sei mesi a quattro anni. Coloro che promuovono o dirigono tali organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi sono puniti, per ciò solo, con la reclusione da uno a sei anni.
    Si applica la pena della reclusione da due a sei anni se la propaganda ovvero l’istigazione e l’incitamento, commessi in modo che derivi concreto pericolo di diffusione, si fondano in tutto o in parte sulla negazione, sulla minimizzazione in modo grave o sull’apologia della Shoah o dei crimini di genocidio, dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, come definiti dagli articoli 6, 7 e 8 dello statuto della Corte penale internazionale».

    Il Ddl Zan interviene su questo articolo già esistente del codice penale trasformando la formula «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi» in «istiga a commettere o commette atti di discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità».
    Propaganda e istigazione

    Come si può vedere questa modifica non vale per la propaganda ma solo per l’istigazione. È una distinzione fondamentale, che è al centro di tutto il ddl Zan. La propaganda è, secondo la definizione della Cassazione, qualsiasi «divulgazione di opinioni finalizzata a influenzare il comportamento o la psicologia di un vasto pubblico ed a raccogliere adesioni». Mentre l’istigazione è — sempre secondo la definizione della Cassazione — un «reato di pericolo concreto» e richiede che le affermazioni sanzionate determinino un concreto pericolo di comportamenti discriminatori o violenti, e non si limitino ad esprimere una mera e generica antipatia o odio. Ciò comporta, ad esempio, che una stessa dichiarazione di ostilità e pregiudizio non sia perseguibile se pronunciata tra amici al bar ma lo diventi solo se a proferirla è un politico durante un comizio. Il Ddl Zan dunque non modifica la parte dell’articolo 604-bis del codice penale sulla propaganda (che rimarrebbe come adesso perseguibile solo quando riguarda idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico), ma quella che riguarda l’istigazione a discriminare o compiere violenza sulle persone Lgbt+, le donne o i disabili. «In questo senso il Ddl Zan tutela la libertà di espressione in misura molto maggiore della maggior parte delle leggi straniere che reprimono penalmente l’omotransfobia. Per esempio l’articolo 510 del codice penale spagnolo e l’articolo 137d del codice penale olandese puniscono anche soltanto l’incitamento all’odio, mentre secondo la proposta di legge italiana questa non basta. Ci deve essere un pericolo concreto di discriminazione e violenza» dice Mia Caielli, professoressa di Diritto pubblico comparato dell’Università di Torino.
    L’articolo 3 del Ddl Zan

    L’articolo 3 del Ddl Zan introduce le stesse modifiche previste nell’articolo 2 all’articolo 604-ter de codice penale. Attualmente questo articolo prevede che: «Per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, ovvero al fine di agevolare l’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità la pena è aumentata fino alla metà». Con l’approvazione del Ddl Zan la formula dell’articolo 604-ter diventerebbe dunque «per i reati punibili con pena diversa da quella dell’ergastolo commessi per finalità di discriminazione o di odio etnico, nazionale, razziale o religioso, oppure fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere o sulla disabilità» (il resto rimarrebbe uguale).
    L’articolo 4 del Ddl Zan e la libertà di espressione

    L’articolo 4 del Ddl Zan specifica che «ai fini della presente legge, sono fatte salve la libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte, purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti». È la cosiddetta «clausola salva-idee».

    «In particolare grazie a questa formula non è in alcun modo perseguibile per esempio chi, per motivi religiosi o ideologici, manifesti idee contrarie al matrimonio tra persone dello stesso sesso, o all’adozione omogenitoriale o che affermi che l’omosessualità è un peccato» spiega ancora la professoressa Caielli. Si tratta della già citata distinzione tra propaganda (permessa) e istigazione alla discriminazione o alla violenza (vietata): è presupposta da tutto l’impianto del ddl, ma il testo della nuova legge lo specifica esplicitamente per sottolineare che la legge garantisce la libertà di espressione.
    L’articolo 5 del Ddl Zan e la legge Mancino

    L’articolo 5 del Ddl Zan contiene una serie di disposizioni tecniche che servono a coordinare la legge contro l’omotransfobia con le norme già vigenti che perseguono i delitti contro l’eguaglianza (come appunto la legge Mancino).
    L’articolo 6 del Ddl Zan e le cautele

    L’articolo 6 del Ddl Zan prevede che si applichino anche alle persone discriminate i virtù del loro sesso, genere, orientamento sessuale, identità di genere o disabilità le norme previste per le «vittime particolarmente vulnerabili» (come stabilisce l’articolo 90-quater del codice di procedura penale). Si tratta di quelle forme di cautela nella raccolta della denuncia, testimonianza e simili che servono a evitare traumi e violenze a chi ne ha già subiti (per esempio alle vittime di stupro).
    L’articolo 7 del Ddl Zan e la giornata di riflessione contro l’omotransfobia

    L’articolo 7 del Ddl Zan istituisce la «Giornata nazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia» specificando che non è una vacanza ma un’occasione di commemorazione, informazione e riflessione. Il Ddl Zan prevede che in questa occasione le scuole, «nel rispetto del piano triennale dell’offerta formativa» e le «altre amministrazioni pubbliche» organizzino «cerimonie, incontri» e altre iniziative di sensibilizzazione contro i pregiudizi omotransfobici «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica», cioè a costo zero. Si tratta di iniziative di commemorazione sul modello della Giornata della Memoria contro la persecuzione degli ebrei e delle altre vittime del nazionalsocialismo. Il Ddl Zan invece non contiene nessuna indicazione su identità «alias» per gli studenti transgender (cioè la possibilità di usare in classe un nome corrispondente al genere in cui si identificano) né contiene indicazioni sull’organizzazione dei bagni nelle scuole.
    L’articolo 8 del Ddl Zan e l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali

    L’articolo 8 del Ddl Zan stabilisce che ai compiti dell’Unar, l’Ufficio Nazionale Antidiscriminazioni Razziali, si aggiungono quelli relativi alla «prevenzione e il contrasto delle discriminazioni per motivi legati all’orientamento sessuale e all’identità di genere» e che questo deve essere fatto «compatibilmente con le risorse disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica» (cioè senza costi aggiuntivi per l’erario).
    L’articolo 9 del Ddl Zan e le case accoglienza

    L’articolo 9 del Ddl Zan chiarisce meglio (in base al’articolo 604-bis del codice penale riformulato dal disegno di legge) chi può usufruire delle case accoglienza o dei centri contro le discriminazioni motivate da orientamento sessuale e identità di genere. Si tratta di centri già istituiti dal decreto legge 34 del 2020, poi convertito in legge, finalizzati a proteggere e sostenere le vittime lgbt+ di violenza, anche domestica. Per esempio gli adolescenti malmenati perché gay, lesbiche, bisessuali o transgender oppure coloro che per gli stessi motivi vengono allontanati o minacciati dalla famiglia (come successo a Malika, la ragazza di Castelfiorentino cacciata da casa dalla famiglia perché lesbica). Non è vero, come sostiene chi vi si oppone, che il ddl Zan permetterà «agli uomini che si definiscono donne» di avere accesso ai centri antiviolenza che aiutano le donne vittime di maltrattamenti. Intanto perché in Italia la modifica del genere anagrafico sui documenti è subordinata a una psicoterapia e all’approvazione di un giudice (non basta dunque l’auto-definizione). E poi perché l’ingresso nei centri per le donne vittime di maltrattamento è subordinato all’approvazione delle associazioni che lottano contro la violenza di genere e che ne valutano l’opportunità caso per caso.
    L’articolo 10 del Ddl Zan e i dati

    L’articolo 10 del Ddl Zan, infine, affida all’Istituto nazionale di statistica e all’Osservatorio per la sicurezza contro gli atti discriminatori di raccogliere dati sulle discriminazioni per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi, oppure fondati sull’orientamento sessuale o sull’identità di genere.
     
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