Sborrando con la zia

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    Faceva caldo quell’estate. Nella pianura quando arrivava l’estate e l’ondata di caldo che non andava più via fino al primo temporale d’agosto si creava una atmosfera “messicana” di languore e di predisposizione alla siesta. Questo si acuiva di più nel momento più caldo della giornata, dopo pranzo. Mia madre stava poco bene in quel periodo e i miei decisero quindi di mandarmi, finché non fosse migliorata, da mia zia. Avevo quattordici anni, a giorni quindici, e ogni mattina prendevo la bicicletta e mi facevo quasi sei chilometri per raggiungere il posto dove, in mezzo a sterminati campi di frumento, sorgeva il casolare della famiglia di mia madre. Era una classica casa di contadini della pianura padana, ampia ma dove lo spazio era più per gli attrezzi e le bestie che per le persone. Ci vivevano solo mia zia con mio cugino e mia nonna. Mia zia, una robusta signora dinamica e decisa, era rimasta vedova del marito ormai da svariati anni (suo marito era molto più anziano di lei) e viveva esclusivamente per tenere sulla “retta” via mio cugino Gianni, venti anni e poca voglia di studiare ma tanta di divertirsi.
    Le mie giornate trascorrevano per lo più nella noia; mia zia era indaffarata con le faccende domestiche, a seguire i lavori dei campi e a controllare cosa facesse mio cugino, che era stato rimandato in tre materie (ma dovevano essere di più a sentire i professori). Non avevo quindi dei compagni di giochi della mia età e, negli anni sessanta, la televisione non era certo diffusa come ora nelle case. Aiutavo mia zia quindi anche in lavori per così dire “donneschi” ma, ripeto, più per noia che per convinzione. Mio cugino, che era segregato nella sua stanza, cercava solo pretesti per distrarsi dallo studio. Inoltre mi considerava uno “snaturato” secchione e non un vero maschio anche perché mi ero portato dei libri e spesso leggevo. Non lo aiutavo a fuggire dalla sua stanza e non andavo in giro alla ricerca di qualche perdigiorno capace di combinare qualche disastro, più per noia che per effettiva cattiveria.

    Il primo giorno, dopo pranzo, la zia annunciò a tutti che dovevamo fare il sonnellino pomeridiano (era tradizione contadina che, durante l’estate, la vita si fermasse dopo mangiato) e non volle sentire le mie proteste di “cittadino”. Disse a mio cugino di fare spazio nel suo letto e di ospitarmi. Non c’erano altre stanze utilizzabili e non era sicuramente nelle abitudini di allora pensare che il salotto “buono” potesse venire aperto perché io dormissi sul divano!

    Andai con Gianni nella sua stanza e cominciammo a spogliarci fino a restare solo in mutande. Gianni mi prese in giro “Guarda sembri proprio una femminuccia con quelle mutande da bambino e quelle tettine!”. E si girò sedendosi sul bordo del letto per togliersi i calzini. Io arrossii un po’ per l’umiliazione e un po’ per l’imbarazzo di un giovane adolescente che non sapeva nulla, o quasi, del sesso e che cominciava a sentirsi rimescolare dentro da strane tempeste. Non ero proprio longilineo ma da questo a dire che avevo le tette proprio ne passava. “Non ho le tette io!” quasi gridai. Gianni mi voltava le spalle ed io, incurante degli anni di differenza e, soprattutto della forza diversa, gli saltai addosso cercando di circondargli il collo con il mio braccio e attaccando a fare lotta come sapevo fare io. Ma lui era più forte, agile e, soprattutto, molto più abituato di me a lottare e a difendersi. Mi prese il braccio, lo staccò dal collo e contemporaneamente cominciò a girarsi, facendo leva sullo stesso mi stese con la schiena sul letto e cercò di mettermi un braccio sul collo. Mi divincolai con tutta la forza che avevo ma lui riuscì a prendermi alle spalle e circondarmi le braccia. Ero disteso sul fianco, con la parte superiore del corpo stretta nella morsa delle sue braccia e cercavo dando violenti colpi con il bacino e le gambe di liberarmi, ma Gianni mi circondò le gambe con la sua e si premette forte con il suo peso su di me. Sentivo la sua bocca ansimare per lo sforzo vicino all’orecchio. Con la mano destra cominciò ad accarezzarmi sul petto alitandomi “E queste cosa sono? Brutto birichino tu mi nascondi le tue cose più belle!”. Le sue dita correvano a tormentare ora uno ora l’altro dei capezzoli. Ansimavo e, sarà stato il caldo, l’eccitazione per la breve lotta, il languore indotto dalla penombra nella stanza ma avevo iniziato ad avere una erezione. Mi vergognavo da morire ma ero anche turbato e nel turbamento avvertivo che tenendomi stretto a sé anche mio cugino aveva una potente erezione. Non avevo mai avuto modo di vedere o tanto meno di sentire l’uccello di un maschio adulto, ma nella mia fantasia adolescenziale mi sembrò enorme e durissimo. Ebbi un timore ancestrale e dissi “No, dai”. Gianni mi rispose “Ma è un No oppure è un Dai continua?” e si fece più vicino.

    La porta si spalancò di colpo ed entrò mia zia urlando sottovoce per non svegliare la nonna che dormiva nella stanza accanto. “Cosa state facendo delinquenti? E’ ora di dormire! Smettetela!”. Mentre ci separavamo, volli mostrare a Gianni che sapevo come ci si comportava “da uomo” ed intervenni a giustificare la situazione: “Niente zia stavamo facendo un po’ di lotta”. Lei, feroce come quasi tutte le volte in cui si rivolgeva al figlio lo apostrofò “Ma ti senti proprio così bravo a fare la lotta con un bambino?!” (Il termine bambino non mi piacque affatto ma visto come era incazzata mi guardai bene dall’obiettare). Poi rivolgendosi in tono più dolce verso di me disse “Ti ha fatto male?”. Io pensai che si riferisse alle braccia, e non avevo ancora la malizia di pensare ad altro, perciò risposi, deciso a far valere la mia mascolinità, “Assolutamente no!”. “Comunque adesso tu vieni a dormire da me” concluse mia zia con un tono che non ammetteva repliche e girandosi si diresse verso la sua stanza in fondo al corridoio. Gianni mi guardò di sottecchi e disse un po’ deluso, per la possibilità di avere una occasione di distrazione che gli era sgusciata via dalle mani, “Oh la signorina va a dormire nella stanza delle donne”. Gli feci una pernacchia con la bocca e corsi in fretta a raggiungere mia zia. “Siete dei ragazzacci! A queste ore le persone per bene dormono e non fanno casino disturbando chi ha lavorato tutto il giorno e vuole riposare!”. Non replicai vuoi perché il tono, anche se addolcito rispetto alla sfuriata di prima a Gianni, rimaneva comunque quello serio di una persona profondamente arrabbiata, vuoi perché mia zia Grazia mi era sempre apparsa come una persona decisa, una che aveva un tono che non ammetteva discussioni.

    Forse le difficoltà della vita, la vedovanza con un figlio scapestrato da crescere, dover comunque mandare avanti una impresa agricola, l’aveva resa dura e decisa e così la vedevo anche se avvertivo una tenerezza celata quando lei si rivolgeva a me. Lei procedeva innanzi a me a piedi scalzi e coperta solo da una camicia da notte leggera, senza maniche che le arrivava appena sopra il ginocchio. Anche se avevo pensato a lei sempre come una persona anziana, doveva aver superato i quaranta anni e questo ai miei occhi di adolescente la rendeva sicuramente “anziana”, mi ritrovai a guardare le sue forme sode con un occhio diverso. Era alta meno di me, che pure non avevo ultimato il mio sviluppo di crescita, con una corporatura tarchiata ma non sgraziata ed anzi ben proporzionata, le cosce sode e un seno importante. Sempre brontolando si recò dall’altra parte del grande letto matrimoniale e si stese girandosi su un fianco e dandomi le spalle. Mi misi dall’altro lato del letto e cercai di stare fermo il più possibile anche se sapevo che non avrei dormito (non ne avevo l’abitudine e comunque la novità del luogo e degli avvenimenti mi avrebbero spinto a fantasticare). La sentii girarsi e rigarsi un po’ poi prese un respiro regolare e quieto. Anch’io che all’inizio non volevo neanche respirare per non disturbare “chi ha lavorato tutto il giorno e vuole riposare!” presi un respiro regolare e cominciai a seguire il filo dei miei pensieri e delle mie fantasie.
    Pensai alla lotta con mio cugino, a come tutto era stato dominato da un alternarsi di sensazioni contrastanti e al mio principio di erezione. Poi il mio pensiero corse a mia zia che dormiva placida di fianco a me e mi resi conto che era la prima volta che giacevo a fianco di una donna che non era della mia famiglia. Il pensiero mi turbò e la mia fantasia corse alle fugaci immagini del seno di mia zia quando era apparsa in camicia da notte sulla porta della stanza di mio cugino. Sentivo crescere il mio desiderio fino a che la punta dell’uccello mi uscì dalle mutande. Mi affiorò un pensiero illuminante e cominciai a sollevare il lenzuolo in modo da guardarvi sotto, verso mia zia. Mi misi sul fianco sinistro e, respirando regolarmente come se stessi dormendo e il mio movimento fosse quello inconscio di un dormiente, cominciai a guardare. Mia zia era sul fianco ma con il bacino spostato verso di me, la camicia da notte le si era arrotolata su fino a lasciare scoperte tutte le chiappe e la sua figa piena e pelosa. Era la prima figa che vedevo così da vicino e la curiosità ebbe il sopravvento sul timore e le convenzioni. Mi spostai lentamente ammirando lo spettacolo che mi si era presentato innanzi: potevo distinguere nettamente il solco del sedere e poi in continuità anche l’esplosione del fiore di mia zia. Nelle fantasie sfrenate che avevano accompagnato le mie prime seghe mai mi era capitato di immaginare quello che mi stava succedendo e quello che stavo vedendo! Scorgevo chiaramente il segno che separava le due grandi labbra ed esso era diventato per me quasi un’ossessione: volevo toccarla proprio lì!
    Mi avvicinai con il cuore che batteva all’impazzata travolto dal desiderio che sentivo sul punto di esplodere irrefrenabile e attanagliato dalla paura di commettere chissà quale nefandezza che mi avrebbe poi esposto al disprezzo della mia famiglia. Allungai in maniera lenta la mano verso la fonte del mio interesse più laido, stando attento a non fare movimenti bruschi, anche se il mio desiderio era di allungare la mano a palmo aperto e prenderla facendo scorrere la mano e le dita in tutti gli anfratti e cercando di scoprire tutte le fonti di piacere di cui si parlava con gli amici al campetto di calcio nelle pause delle interminabili partite estive.
    Con un groppo alla gola sempre più stringente la mia mano si avvicinò alla figa di mia zia. Ormai solo un centimetro separava il dito che avevo teso verso la mia fonte di piacere. Il tempo per percorrerlo sembrò non trascorrere mai con tutti i sensi all’erta per cogliere qualsiasi movimento da parte di mia zia pronto a ritirarmi come se questo toccarla fosse frutto dell’inconscio movimento di un dormiente. Alla fine la toccai e ristetti. Mi sembrò di percepire come un breve rallentamento del ritmo di respiro ma poi mi sembrò che tutto proseguisse come prima. Ma ora avevo un problema: volevo violare con il mio dito quel solco che immaginavo profondo, porta di un anfratto fresco e di muschio, caldo e al tempo stesso umido. Spinto da una pulsione ancestrale, cominciai a spingere un po’ di più il mio dito e poi mi fermai. Mia zia ferma e con il respiro regolare. Un altro centimetro, e mia zia che mi sembra fare un respiro più profondo. Aspetto quasi un minuto in più e poi ancora un centimetro. Questa volta mi viene quasi un coccolone quando mia zia si sposta. Stavo quasi per ritrarre il dito ma il movimento che mia zia ha fatto, anche se mi era sembrato involontario, ha spinto il mio dito più profondamente nella spacca. Sento anche il dito accolto da un umidore caldo e dal profumo muschiato e acre che mi colpisce le narici e mi fa rizzare ancora di più (ammesso che fosse possibile) l’uccello che con l’altra mano ho tolto dalle mutande e lascio libero nell’aria perché sono sicuro che se tocca anche solo il lenzuolo mi succederà di sborrare. Adesso il dito è arpionato dentro la figa di mia zia e io sono un attimo perplesso perché non so decidermi su come continuare: visto che non posso arrischiarmi a palparla apertamente cosa posso fare? Andare dentro e fuori o scorrere lungo il solco che si stava facendo sempre più bagnato? Fu inavvertitamente (credo) mia zia a risolvere il mio dilemma con delle contrazioni involontarie che ritmicamente portarono il mio dito a penetrarla sempre di più. Sembrava quasi che nel sonno si dondolasse lentamente attorno al mio dito. L’odore di muschio acre e selvaggio aumentava sempre di più. Io mi sentivo sempre più infoiato e le mie remore stavano cadendo sempre di più (forse in realtà stavo imparando cosa voleva dire l’espressione “ragionare con il cazzo”). Avvicinai la punta del mio uccello alla fessura ora larga e umida di mia zia poi con un movimento che, nella mia immaginazione di adolescente inesperto, doveva assomigliare ad un volontario spostamento nel sonno, sostituii il dito con la punta dell’uccello. Sensazioni strane e contrastanti mi assalirono e mi dominarono: la paura di essere scoperto, la sensazione di caldo umidore che stava avvolgendo la mia cappella, la consapevolezza che stavo solo facendo un primo passo in un mondo inesplorato e forse non del tutto ostile, come magari in maniera ancestrale pensiamo. E allora presi il ritmo quasi impercettibile con cui mia zia muoveva il bacino e avanzai un centimetro alla volta e ogni centimetro che facevo la passione cresceva in modo insopportabile e al tempo stesso mi sentivo imbranato perché non ero abituato a muovermi silenziosamente in quella posizione. Ma ancora una volta fu mia zia che risolse la situazione, con un sospiro più profondo accompagnò un ulteriore spostamento del suo bacino verso di me e così facendo tutta la mia asta si trovò piantata fino alla base dentro la sua figa bagnata. Avvertii come una stretta tutto intorno al mio uccello quasi che le pareti a lungo inesplorate volessero assaggiare questo ospite inatteso. Poi, con la cadenza del respiro regolare del suo sonno cominciò a muovere il bacino in avanti e indietro. Continuò avanti e indietro, avanti e indietro, anche quando la mia sborra sgorgò inarrestabile dentro di lei, continuò a muoversi regolarmente avanti e indietro fino a che il mio uccello che aveva lentamente perso la durezza iniziale non tornò ad inturgidirsi e farsi duro come il marmo. Questa volta avvertii che il suo respiro regolare si era prima ingrossato e poi trasformato in una specie di sospiro lamentoso e ritmato al ritmo della musica immaginaria che le stava suonando nella testa. Mano a mano che i sospiri si facevano pesanti anche i colpi del suo bacino contro la base del mio pene si facevano più marcati e a questo punto cominciai anch’io a spingere ritmicamente incurante della finzione del sonno. Ripresi a muovermi come uno stantuffo, con la violenza di un adolescente sano e vigoroso che non conosce né remore né regole né trucchi e non ha esperienza nel trattare le donne. Ma la mia forza rendeva il canale di mia zia sempre più lubrificato e mi sembrava quasi di non sentire le pareti che stringevano se non a momenti regolari. Sul ritmo di questi momenti calmai la mia foga spingendo a più non posso fino a ché un getto di liquido vaginale non precedette di qualche attimo la mia seconda sborrata. Lentamente il ritmo si abbassò fino a che rimanemmo completamente fermi. Il pene diminuendo lentamente fuori uscì dalla fonte del mio primo piacere da uomo con la U maiuscola. Mi ritrassi lento e vergognoso perché, adesso che la foia si era calmata, tornava la paura della morale impressa con parole e comportamenti da una civiltà ancora profondamente contadina e religiosa che non aveva ancora conosciuto il ’68. Rimisi il cazzo nelle mutande e mi rigirai facendo finta di dormire e respirando regolarmente.
    Anche mia zia riprese un respiro regolare da sonno profondamente ristoratore.
    Quando infine mia zia si svegliò, si alzò, si rassettò la camicia da notte e si mosse lentamente quasi a non voler far rumore per non svegliarmi. “Grazie zia” dissi e la feci rimbalzare per la sorpresa. Un lampo di preoccupazione le attraversò il volto duro e mi chiese “Perché mai grazie?”. Io la guardai e dissi: “Per avermi salvato da Gianni!”. Mi parve di cogliere come una luce di sollievo attraversare il viso che si distese in un sorriso e avvicinandosi a me mi strinse il viso portandolo verso i suoi seni generosi e mi disse “Non ti preoccupare, non ti lascerò più dormire con quel lazzarone manesco. Verrai sempre a riposare con tua zia”.
     
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