In quel di Napoli

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  1. Zack Fair
     
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    Avevamo fatto questo viaggio a Napoli, io e mia madre.

    Nel 1992, all’epoca dei fatti, avevo 18 anni e mia madre 44.

    Il viaggio consisteva in una breve vacanza (una settimana) in questo lussuoso albergo che mio padre aveva vinto al lavoro ma non era poi potuto venire per lo stesso motivo; visto che era una bella occasione e che il biglietto era per due, decidemmo di andarci con mamma. Era pieno inverno, e il viaggio consisteva anche in una serie di eventi tipo concerti, saggi di danza e tornei di calciotto. Tutto veramente molto noioso.

    Ma già la prima sera di quella vacanza io (che ovviamente alloggiavo in camera con lei) cominciai a guardarla con occhi diversi da quelli di un tradizionale figlio. Mamma è una donna piccolina, sotto il metro e settanta, ma è proporzionatissima tra sedere e cosce.

    La cosa di lei che colpisce subito è il seno: ha infatti due grosse tette mature della qual misura non vi saprei dire (quinta o sesta) ma che è impossibile non notare, anche col cappotto. Poi si tratta di una donna mite, sommessa, impossibile da abbinare col suo corpo da favola. Come dicevo, già la prima sera quando venne a spogliarsi con la luce soffusa degli abat jour, mi venne duro guardandola da dietro il giornale che stavo leggendo, sfilarsi le calze seduta sul bordo del letto. La vidi farlo svogliatamente e con le tette che dondolavano da sotto la sottoveste. Si sfilava poi il reggiseno enorme da sotto la stessa e lo posava sulla sedia accanto alle calze. Lo faceva in maniera naturale e annoiata, senza badare a me, che invece, dovetti correre in bagno la notte fonda per masturbarmi. Le mutandine le teneva.

    Vederla dormire li, accanto a me sotto le coperte, sentire il suo tepore era allucinante. Credevo di impazzire. Non era raro che mi svegliassi all’alba per uscire dal letto e non torturarmi. Mamma aveva i capelli biondi e tagliati corti, in maniera molto giovanile, con la pelle chiara e rosea.

    Da impazzire.

    Io, poi, amo molto le estremità femminili, i piedi e le mani, e mamma curava moltissimo entrambi: erano piedini piccoli ma perfetti, vederli infilarsi nelle calze era per me una terribile tortura.

    La settimana volse al termine tutto sommato velocemente, e alla sera c’era come d’abitudine in quell’albergo, la serata di gala conclusiva, nella quale occorreva andare a cena vestiti molto eleganti.

    Per questo, poco prima di recarci al gala, vidi mamma in bagno che aveva indossato un reggiseno nero di pizzo, con il nero trasparente sui capezzoli e ai lati, terribilmente sexy e seducente. Ringraziai Dio che quella tortura stesse per finire.

    Poi mamma indossò un vestito azzurro che la fasciava e vidi le calze autoreggenti sopra le scarpe col tacco eleganti. Era pronta, con un po’ di trucco sugli occhi e sulle guance.

    Andammo.

    Ci fecero sedere con altri quattro / cinque ospiti ad un tavolo circolare, ed io mi accorsi subito che non pensavo ad altro che non a mia madre in bagno col reggiseno nero.

    “Puttana” pensai, immotivatamente, e da sotto il tavolo mi toccavo la patta gonfia.

    Ovviamente mamma mai e poi mai avrebbe potuto anche solo lontanamente pensare al fatto che mi arrapasse vederla mezza spogliata, troppo ingenua, troppo pura, troppo educata.

    Più pensavo e queste cose e più avevo il sangue al cervello. Così pura e ingenua, la mia mamma, che immaginarla fottere sul letto come una troia mi dava sensazioni mai provate.

    Dovevo andare in bagno con una scusa e farmi una sega, non c’erano alternative.

    O forse si.

    Avvertii il sangue andarmi al cervello.

    E se l’avessi toccata?

    Si, se le infilassi le mano sotto la gonna, li sotto al tavolo, chi mi avrebbe visto? E, soprattutto, mamma avrebbe dovuto abbozzare poiché non poteva certo mettersi a strillare che suo figlio le faceva la mano morta!

    Incredibile. Che idea, che idea geniale! Sudavo freddo.

    E non mi importava nulla di quel che sarebbe successo dopo, li per li non me ne poteva importare di meno.

    Feci subito scendere la mano sotto il tavole e le sfiorai le ginocchia.

    Mamma era seduta compostamente e neanche si accorse del mio debutto.

    Poi le misi una mano sulle ginocchia e la accarezzai flebile sino alle cosce, sotto la gonna. Che fantastico momento! Le cosce erano tornite e calde, e la seta delle calze mi mandava al manicomio. Avrei anche potuto sborrarmi nei calzoni.

    Lei continuò a guardare il tipo davanti a lei che le stava raccontando di un suo precedente viaggio, ma non sorrideva più. Io, intanto, le palpavo le cosce e tentavo di andare più a fondo. Era fantastico, il gioco mi piaceva da impazzire. Quando tentai di raggiungere le mutandine, lei mi guardò con un misto di imbarazzo, stupore e supplica. Io ricambiai lo sguardo con fare ingenuo e strafottente.

    La volevo.

    Non c’erano sguardi che mi potessero far desistere.

    Allora, visto che io non mollavo, lei fu costretta ad alzarsi con una scusa e ad avvicinarsi al bancone del buffet.

    Io finsi indifferenza.

    Tornò dopo una mezz’ora evidentemente pensando che quel lasso di tempo mi avrebbe fatto calmare i bollenti spiriti.

    Macché!

    Appena fu di nuovo seduta le rimisi la mano tra le gambe palpandola in quella zona dove l’autoreggente finisce ed inizia la carne. L’autoreggente era di color fumo.

    Un po’ più adirata (mamma non è capace di arrabbiarsi sul serio!) si alzò di nuovo e andò nei bagni.

    Immediatamente capii che quella era la mia occasione. L’occasione di una vita.

    Mi alzai con una scusa e la seguii al bagno.

    Stessa tattica, non avrebbe potuto mettersi a gridare contro il figlio scatenando un casino.

    E il saperla che da li a poco si sarebbe abbassata le mutandine per pisciare mi toglievano ogni freno inibitorio. La vidi controllarsi adirata il trucco allo specchio ed entrare in uno dei cessi per donne.

    Siccome non c’era nessuno, appena chiuse la porta mi ci fiondai anch’io, per non rischiare che mettesse il catenaccio.

    Appena mi vide le prese un colpo.

    Si voltò per raggiungere il fondo de piccolo cesso, ma io le stavo già sollevando la gonna.

    “N-no!” gemette lei, ma io le avevo già abbassato gli slip.

    Mi tirai fuori il cazzo in un minuto e glielo misi da dietro nella vagina. Aveva la vagina paffuta e bionda, bellissima. La sua espressione sgomenta mi faceva diventar matto.

    Iniziai a scoparla mentre lei si teneva con le mani sulle mattonelle del cesso. La scopavo forte ansimando, era caldissima, bella come avevo immaginato.

    Dopo un po’ di stantuffare le abbassai il vestito a fatica, perché si difendeva e le abbassai anche il reggiseno.

    Le enormi, stupende mammelle schizzarono fuori dal vestito e iniziarono a pendolare su e giù sotto i miei colpi di reni.

    La scopavo così forte che la cappella mi faceva male. Le palpai e strizzai le mammelle da dietro, palpandole i capezzoli rosa e larghi e mordendola sul collo e sulla schiena come un animale.

    Le venni dentro, dopo un po’.

    Lei era sconvolta.

    Si rimise il vestito a posto e uscì dopo avermi dato una spallata.

    Io ero li che ancora me lo menavo.

    La serata finì con noi due che non ci guardavamo neppure.

    Ma a notte fonda dovemmo rifare la strada a ritroso verso lo chalet.

    Mamma guardava in basso e non diceva una parola. Io non ero pentito, anzi, la guardavo e scoprivo di desiderarla ancora.

    Entrammo nello chalet e mamma andò a fare un telefonata. A chi non lo so, visto che era notte fonda, forse alla hall dell’albergo o alla compagnia aerea…non lo so.

    Quello che so è che appena prese la cornetta le fui nuovamente addosso. Le misi una mano sul culo, da sotto la gonna e inizia a baciarla sul collo, sulla bocca sulle guance. Lei resistette facendo cadere la cornetta, ed io, dopo averla presa in braccio, la portai in camera da letto.

    Spogliarla completamente non fu un’impresa, viste le diverse proporzioni fra me e lei, le tolsi tutto, ogni indumento e la misi a pecora sul letto. Volevo mi facesse di tutto. Lei non disse una parola.

    Le misi il cazzo in bocca.

    Me lo succhiò e ciucciò tutto, aveva la bocca piena di umori e sentivo forte il rumore della ciucciata, allungai una mano e le toccai e sfregai il culo e la vagina, mentre con l’altra le strizzavo forte una mammella. Nuda era bellissima, provocante, mozzafiato.

    “Le tette…le tet- te…” mugolai, e lei si mise la cappella tra le tette ed iniziò una spagnola da panico. Doveva averlo fatto altre volte, perché era brava, con quei meloni, poi! Godevo come un matto. La misi in piedi sul letto, l’abbassai con una pressione della mano sulla schiena, e la inculai all’istante.

    Che bello, che meraviglia. Sentire i gemiti strozzati di lei, vedere i piedini puntati sulle coperte e scorgere le tette penzolanti all’ingiù mi fecero godere come un matto. La inculavo forte, senza esitazioni, la chiamavo mamma o per nome, la stringevo per i fianchi o le mettevo due dita in bocca. Era fantastica.

    Poco dopo, però, dovetti venire: le sborrai addosso, le feci un bagno di sborra. Lei si coprii con la mano. Venni in abbondanza.

    Poi la sdraiai sul letto ed iniziai a baciarla ed accarezzarla dappertutto, dolcemente, teneramente, era piccolissima. Le baciavo i capezzoli e le accarezzavo la pancia, le massaggiavo i piedi e le mordevo il clitoride.

    Fu una notte indimenticabile, la mia ultima a Napoli…
     
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