AMORI MORBOSI E INCESTUOSI

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    La storia che sto per narrare non l’ho vissuta, ovviamente, in prima persona, ma mi è stata riferita da una ragazza, la vera protagonista, con un trasporto emotivo e una dovizia di particolari tali che, ascoltando tale racconto fu per me più che viverlo in prima persona. Innanzitutto perché anch’io ho sempre nutrito, come quest’amica mia porcellina, in un geloso e struggente segreto, un’attrazione morbosa (quantunque un tantino più naturale) verso mia madre, un desiderio sempre vivo, acceso, ossessivo, di vederla nelle parti pudende, di far l’amore con lei (non perdevo occasione di spiarla quando si spogliava tutta nuda in bagno, per fare il bagno o anche solo per cambiarsi le mutande; mi piaceva moltissimo osservarla dal buco della chiave quando usciva dall’acqua e si asciugava; sbirciavo i suoi seni bianchi ballonzolare, la sua pelle chiara, di cera, i riccioli del suo pube sui quali si passava più volte l’asciugamano e, quando si voltava, il taglio del suo sedere e il vuoto che aveva fra le gambe; rare volte avevo occasione di vedere una figa nuda, pelosa, e mia madre era là, nuda, senza censura, completamente nuda oltre la porta; la voglia di entrare e di guardarla, toccarla, accarezzarla, era più forte di me; a volte riuscivo a vederla quando, e qui mi vergogno un po’, si sedeva sulla tazza del w.c. per pisciare; in questa circostanza allargava le gambe e vedevo tra i peli delle grandi labbra il taglio della fica, ma non il buco, né quello davanti, né quello dietro, che dovevano essere dilatati; non voglio comunque sconfinare nella volgarità, anche perché le cosce non le allargava sempre e poi era faticoso osservarla da quel piccolo spioncino, mentre immaginavo nei minimi dettagli quell’orifizio che con gli uomini le diafane creature del gentil sesso hanno in comune, ma io immaginavo, in quanto tale, solo il loro indecoroso e sconvenientissimo forellino, che si stringe e si apre nello spasimo convulso dell’orgasmo. Può sembrare strano che io dal buco della serratura potessi vederla così bene, ma fortuna vuole che questo si trovasse proprio nell’angolo opposto del vano, all’altezza della vasca da bagno, oltre la quale, di fronte, c’era la toilette; e il percorso visivo lungo cui la inquadravo all’inforcatura passava proprio attraverso le sue gambe parallele e qualche volta leggermente aperte in un atteggiamento abbastanza naturale, in fondo alle quali, dal momento che l’ultima cosa che l’ignara mia madre potesse sospettare era quella d’essere osservata, ostentava una completa, integrale e addirittura cruda nudità). Oltre al motivo appena descritto, venivo coinvolto e addirittura stravolto (in secondo
    Adv
    luogo) da ciò che mi veniva confidato, perché la carica partecipativa ed erotica e l’impatto emozionale da parte della citata fanciulla su di me erano talmente intensi e genuini, e altrettanto integri nonostante lo scolorire inevitabile di qualsiasi ricordo, da riaccendere in lei e di riflesso in me, nel suo rivivere i momenti magici di quello smarrimento, una tale eccitazione e un coinvolgimento, che ancora mi sento turbato nei coglioni e nelle budella, e allo stesso modo mi turbo nel riferirli così come se, raccontandoli, li vivessi io stesso per la prima volta, su quanto a lei accadde in concreto con sua madre e a me solo virtualmente con la mia. Ma si tenga presente che ad ogni parola, ad ogni fatto qualunque riferitomi da tale fanciulla, io, ascoltandola e leggendo i turbamenti sul suo volto, ho quasi un orgasmo ad ogni istante, ad ogni partecipazione empatica ed emotiva, in un tutt’uno inscindibile a livello psico-fisico, tanto che il pene ora mi si presenta grosso quanto un manganello e non mi si è mai eretto così tanto, al punto che, sia ascoltando, sia riferendo poi e rendendomi ugualmente partecipe in entrambi i momenti, mi masturbo lentamente e con gran gusto, sognando alla fine d’introdurre il mio fallo nella “potta” gocciolante di tale divina amica. Ma fu un sogno così reale e talmente veritiero che finii per ritrovarmelo dentro tutto, non so come, nel suo ventre, e persino di carezzarle poi i labbri del pertugio increspato del suo buco posteriore. Nello stesso tempo sognai di giacere finalmente accanto alla mia vera amata e vedere integralmente nuda per la prima volta in modo indicibilmente nitido e vicino, la mia adorata, irraggiungibile genitrice, di avere persino un orgasmo nel suo taglio che tanto ha preso, introdotto e partorito, e che ancora è bello, disponibile, giovane e rorido di umori e di profonda sconcezza, nonché disponibile ad accogliermi in sé più di una volta, su e giù, dentro e fuori e di lasciarsi godere, fra le labbra pelose del taglio nel davanti e tra le chiappe aperte e sode, con pochi peli non rasati, nel centro del suo poco poetico, ma ipereccitante, pallido e lubrico lato “B”: un imbocco che, per via del rispetto che devo e serbo alla mia non più giovanissima nutrice, riconosco perfettamente rotondo e profondo, ma anche molto simile ad una ventosa, ad un “boton” di vecchia gallina, solo esteriormente affascinante, che vorrei finalmente e liberamente ammirare, penetrare, godere, possibilmente rubandole egoisticamente il perverso consenso.
    La ragazza ricordò che, mentre era intenta a cambiarsi gli slip e a profumare un poco i peli biondi del suo monte di Venere, ad un certo punto si era messa in una posizione rannicchiata, accovacciata, anzi proprio accosciata (non potendo restare in piedi e neppure seduta), con le cosce divaricate e le ginocchia completamente piegate, senza tuttavia appoggiare, in una fase particolarmente delicata dell’operazione, il posteriore sui talloni: in questa posizione l’ano e la vagina si spalancano al massimo. “Sentivo l’aria entrare in quei buchi, così vicini”, diceva. “Chissà cos’avrebbe dato un uomo per potermi osservare, da sotto, in quella posizione”. “Quell’idea mi eccitò” continuò lei con crescente enfasi. “Un’altra donna ad un simile pensiero si sarebbe sentita degradata al ruolo di semplice oggetto, di ‘cosa’, e una volta ancora avrebbe rifiutato con sdegno e disgusto l’eterna concezione, appunto, della donna oggetto, quale stupido strumento del piacere, fatta solo per essere ammirata, posseduta e gettata; avrebbe senz’altro provato rabbia, vergogna, un senso di profonda mortificazione e d’indicibile umiliazione. Ma io sapevo ormai vivere, accettavo di buon grado l’idea di essere un oggetto, uno stupendo oggetto del piacere, circondato da mille attenzioni; sostenevo con entusiasmo e disinvoltura quel ruolo, che in fondo io stessa mi ero scelta, e che nessuno, tranne madre natura, mi aveva imposto, conservando sempre un atteggiamento estremamente docile e remissivo. E poi, è innegabile che la donna oggetto esiste, mi dico sempre, io ne sono per l’appunto un esempio. Del resto, a questo mondo, ognuno deve accettare o recitare la sua parte, il suo ruolo, e questo, se non è il ruolo principale della donna, è perlomeno uno di questi. Negarlo è come negare l’evidenza, o l’esistenza stessa degli istinti, come si faceva nel medioevo, ed anche nel diciannovesimo secolo, quando risultava inaccettabile, nelle donne, la voglia di essere chiavate, fottute, leccate, ecc... Eppure sappiamo tutti molto bene che la libido, l’eccitazione, la curiosità per le intimità dell’altro sesso sono cose più che naturali, riguardanti “alla pari” (o quasi) sia l’uomo che la sua gentile compagna (di vita), realtà che bisogna accettare senza falsi pudori, così come si accettano, più apertamente, le espressioni più alte della vita, i sentimenti più elevati, l’affetto sincero, l’amore platonico, puro, le alte espressioni dell’arte, dell’intelletto, e via dicendo: tutte cose che, assieme a quelle considerate meno nobili e pure, fanno parte di quell’antichissimo, delicatissimo equilibrio, formatosi nel corso dei millenni (e ciò nonostante non ancora accettato dalla morale corrente) fra desideri, proibizioni e compromessi, che qualcuno chiama “mestiere (per nulla facile) di vivere”.
    “Di tanto in tanto, chissà perché” continuava lei, come in trance, o come inseguendo una traccia, un’ancestrale e scolorita traccia, “mi ritorna alla mente una mia amica diplomata in violino e clarinetto, che ascoltava spesso la musica di Mozart con gli occhi chiusi e un’espressione straordinariamente beata sul viso (quell’espressione assorta ed intensa di chi sta gustando qualcosa di particolarmente sublime); e per quanto il godimento fosse stato prevalentemente spirituale (o forse lo era solo il mezzo impiegato), non doveva essere per nulla dissimile, o molto distante, tanto nell’apparenza quanto nella sostanza, da quello di un’altra dama (forse meno raffinata e dedita a cose meno spirituali) che stava o sta godendo per averlo dentro come un palo, fino in fondo, nella “passera” o nel culetto. I passaggi sublimi del pianista non erano meno goduti e assaporati da quella particolarmente sensibile rappresentante del gentil sesso e in quella particolare circostanza, che non la voluttà, attraverso dei messaggi di felicità prodotti in altri luoghi e in altre situazioni, ad altre fragili dame, meno iniziate all’arte, portate in cielo dalle stoccate finali di un cazzo che percorre su e giù, dentro e fuori, il conno della loro figa nuda, dilatata e piacevolmente stimolata. Eppoi, non avevo forse fatto anch’io, quand’ero più giovane, dei sogni erotici ad occhi aperti, immaginando degli uomini completamente nudi, con in fallo eretto? Non avevo forse spiato, attraverso il buco della serratura, mio fratello più giovane, mentre faceva la doccia, cercando d’intravederne le parti più intime? Ricordo che una volta ero riuscita a vedergli da vicino, attraverso la fessura della porta socchiusa, il pene ammosciato e i testicoli gonfi e pendenti; avevo trattenuto il respiro, stregata da quella visione, mentre il cuore mi martellava nel petto. Avevo continuato a guardare, affascinata dall’insolito e gratuito spettacolo, mentre il clitoride mi si era messo a pulsare come un maglio e sentivo l’ano dilatarsi sotto la pressione del sangue che affluiva copioso nelle mie parti più intime e nascoste, dove la passera si contraeva e si bagnava senza economia, fino a macchiare di sborra il tessuto morbido e sottile delle mutandine. Ebbi quasi un orgasmo, senza bisogno d’altre stimolazioni. Non resistendo più alla voglia, ero entrata nel bagno e, quasi stracciandomi la gonna e la biancheria già ridottissima, avevo mostrato la fica a mio fratello, per fargli capire la differenza che c’era tra un uomo e una donna. Mi sarebbe piaciuto farmi penetrare, ma il mio adorato fratellino era piuttosto giovane e acerbo, non capiva ancora: il suo membro si era eretto solo a metà. Allora mi sono masturbata davanti a lui, venendo quasi subito e godendo come una porca, soprattutto all’idea di essere osservata.
    Avevo continuato a masturbarmi sul letto della mia camera, sognando, all’avvicinarsi dell’orgasmo, di essere posseduta con forza e fino in fondo o dal fratello o da un suo amico, o da qualsiasi altro maschio, purché avesse un bel bastone di carne da affondare senza troppe cerimonie e senza rimorso alcuno nella mia guaina offerta, fino a profanarla e irrorarla, senza un minimo di rispetto, nei suoi recessi più profondi e segreti.
    Quando il delirio erotico stava per travolgermi, proprio nel momento in cui stava sfociando nell’acme, sognai di essere un uomo, sognai che il mio clitoride eretto si era fatto grosso come un membro virile e che dallo sbocco della vagina uscisse dello sperma abbondantissimo, e che attraverso violenti getti inondasse tutta la camera, sommergesse il letto, il mio volto, la bocca, e continuasse ad uscire, mentre il mio ano, sollecitato dalla lascivia e dalla goduria a dismisura, si apriva e si raggrumava, stringendosi, ad intervalli regolari, spasmodici, finché un’ultima ondata di piacere mi fece godere in modo vertiginoso, ormai senz’alcun ritegno, come una vera e propria vacca in calore. Ora dalla mia fica usciva veramente la bava del piacere.
    Ricordo anche che una volta mi sono chiusa a chiave nel bagno e, per mezzo di uno specchio parabolico, ho osservato ingranditi i miei organi genitali e l’ano. Dopo di che, eccitata, mi introdussi il manico dello spazzolone nella vagina, il più profondamente possibile, fino a toccare l’ingresso dell’utero, quindi, in preda alla lascivia, me lo sono infilato tutto anche nel culo, lentamente, provando un gran gusto, tanto che decisi di lasciarvelo. A questo punto, travolta dal desiderio, mi sono vellicata, pizzicottata con violenza il “grilletto”. Afferrai poi la bottiglietta della Cola-Cola che avevo appena finito di bere e, con un gesto deciso, me la ficcai, a mo’ di fallo, nel buco più sensibile del mio corpo, fra le cosce spalancate; dunque, imprimendo a questa, ed in particolare al mio bacino, il movimento antichissimo e selvaggio dell’amore, avevo ricominciato a masturbarmi con foga, immaginando di essere posseduta da un maschio, sia davanti che dietro. Ben presto la foga fu sostituita da una specie di furore. In quel su e giù, o dentro e fuori forsennato, a volte mi calcavo la bottiglia dentro la vulva con tale forza, da farvela scomparire per intero, sfondandomi letteralmente il ventre. Mi sentivo completamente piena; di libero avevo solo la bocca e sognai, mentre mi sentivo prossima allo sfogo conclusivo, di succhiare un membro maschile, enorme, in una maestosa fellatio, mai goduta, fino a farlo piangere, ammosciare, fino a condurlo all’esplosione finale, violenta e incontenibile, all’eruzione distruttiva tra le mie labbra vogliose. Ma un simile cazzo al momento non c’era, e alle mie brame precoci e tipicamente femminili dovetti aggiungere, amaramente, anche quella frustrazione.
    Al momento della venuta, dopo un crescendo rapido e delirante, il liquido del piacere, sgorgato a iosa dopo una simile eccitazione, colò direttamente nell’interno della bottiglietta e si depositò sul fondo di questa. Sfinita e solo per il momento soddisfatta, ma dentro di me ancora indicibilmente smaniosa, emisi un lungo, eloquente sospiro d’insoddisfazione. Avrei voluto far assaggiare quell’umore, quel succo mieloso che sapeva languidamente di femmina, sgorgato dalla parte più segreta della mia intimità, quel nettare inebriante, frutto del mio godimento smodato, ad un vicino di casa o ad un parente o, vista l’impossibilità, ad un uomo che fosse perlomeno virile, maturo, oppure ad una lesbica, ma in casa c’erano solo i miei rigidissimi e inflessibili genitori, incorreggibilmente moralisti e puritani. Mi estrassi, quindi, con fatica, la bottiglia che mi era letteralmente scomparsa fra le pareti estremamente elastiche del condotto vaginale e ne annusai il contenuto; ma il frutto, il distillato della mia violenta masturbazione era momentaneamente mascherato dal profumo della Cola-Cola (così come i desideri perversi, le orge private o collettive e i relativi orgasmi della signora per bene sono meschinamente mascherati, com’è d’uso e conviene, dalla sua aria rispettabile, falsamente virtuosa e casta di gentildonna al di sopra d’ogni sospetto).
    Alla fine avevo deciso di berlo, provando una sensazione indescrivibile, soprattutto perché quella calda sborrata, secondo le mie fantasie, ora non proveniva più dal mio ventre, ma apparteneva a colei che mi aveva generata.
    Ricordai quando feci godere mia madre. L’avevo fatta oggetto delle mie particolari attenzioni, per non dire delle confidenze più ardite, sconce e licenziose, ed avevo sfogato su di lei i miei istinti più viziosi e depravati di ninfetta. E lei, la donna fatta, vissuta, c’era stata, spudoratamente, quasi senza esitazioni, per provare un piacere diverso, proibito, il piacere perverso, lascivo ed incestuoso di una persona (nella fattispecie donna) occasionalmente pervertita, vinta soprattutto da un improvviso, quanto irrazionale desiderio di ribellione, che trovava in un simile sfogo, segretamente e voluttuosamente sognato, l’occasione di concedersi finalmente la santa e legittima libertà di essere impunemente volgare e scurrile; per uscire...da quell’abito di donna moralmente ineccepibile e onesta che da tempo ormai le andava stretto. Aveva accettato le avances della figlia (della sua bambina insicura, adorabilmente e innocentemente perversa, che la faceva godere), stanca com’era, anzi esasperata dalla solita routine sessuale, dai lunghi e innaturali periodi di astinenza, che i principi e gli insegnamenti della religione e della morale più bigotta (o, se vogliamo, semplicemente più ipocrita) e della rigidissima educazione ricevuta (anzi impostale) le avevano sempre impedito di obiettare (pena i più terribili rimorsi di coscienza, uniti alla sensazione di essere sudicia e immonda). E’ il tipico appagamento che sognano e che finiscono per provare, prima o poi, volutamente e con il massimo godimento, tutti i puritani e i rispettosi dei più virtuosi costumi, come le donnine-bene, le ragazzine di buona famiglia, le zitelle, e tutti gli altri fragili e splendidi fiori nutriti e fioriti dal più marcio conformismo.
    La giovane donna era appena uscita dal bagno, si era asciugata e cosparsa quasi tutto il corpo di borotalco, rendendo la pelle, già naturalmente chiara, particolarmente bianca e seducente. Dopo di che era andata a sdraiarsi sul letto, nuda come la verità, considerato che faceva molto caldo. Quando mi vide non cercò di coprirsi, ma lasciò che la osservassi (con intensità e cupidigia) così, senza alcun velo, come sua madre l’aveva fatta. Ed io, con la massima sfrontatezza o finta disinvoltura, l’avevo leccata subito nel punto giusto, facendola rabbrividire dalla punta dei piedi alla radice dei capelli. Ricordo ancora i sussulti del suo ventre, sempre più frequenti, mentre ci davo sotto con la lingua, e la contrazione spasmodica dei muscoli addominali durante le numerose venute, vistose, ignobili e inoccultabili per le conseguenti sborrate dalla figa calda, che offriva senza ritegno, e poi la sua totale resa, mentre in preda al delirio crescente, ad un godimento sempre più smodato e quanto mai indecente, voltava la testa ora a destra ora a sinistra, emettendo dei gemiti e tenendo gli occhi fissi e vitrei, con la bava alla bocca; e alla fine l’ultimo, incontenibile urlo di acuto, vero e proclamato piacere, che la fece sbrodolare, sbavare per l’ultima volta, nello sfogo completo e autentico di femmina finalmente appagata e falsamente virtuosa, fra le mie labbra di bambina. A quel ricordo il desiderio era divampato di nuovo in me e mi masturbai ancora una volta, selvaggiamente, usando non le mani e nemmeno la bottiglietta della Cola-Cola, che era diventata viscida, scivolosa, ma qualcosa che ritenevo più forte di me: la spazzola per i capelli, così dura, crudele, padrona. Naturalmente non l’avevo usata dalla parte del manico, liscio ed innocuo, ma avevo tenuto questo ben stretto fra le dita esperte. L’avevo sfregata con forza sulla carne del basso ventre, non privo di peli, nei punti più sensibili, facendo appello a tutta la mia forza di volontà per non urlare di piacere e di dolore, mentre le mie carni straziate, martoriate, reclamavano un appagamento definitivo. Mi sono masturbata allora e mi masturbo adesso, perché è ancora viva la fiamma, come se tutta la vita fosse racchiusa in questo ritmo teso alla ricerca di un gusto sempre più alto, animalesco (facile da raggiungere), sfacciato e interminabile, ma anche pronto a svanire, ad inibirsi in una sorta di abietta assuefazione”.
    Passarono così dei minuti, eterni, accompagnati dai gemiti e dagli strilli della ninfomane...
    Mentre rivivevo, come se scorresse torbida nell’attimo presente, la morbosa e coinvolgente scena, sentii mia madre che passava lì vicino, nell’anticamera attigua. Non volevo che entrasse da me, poiché ero praticamente nudo, ma nello stesso tempo desideravo che s’affacciasse perché anelavo vederla. Mia madre bussò e, senza neppure aspettare una mia risposta, entrò con decisione in camera mia. Quando mi vide completamente nudo, fece per lamentarsi, come faceva solitamente, dicendomi che perdevo tempo con i soliti esercizi fisici mirati al culto del mio corpo, trascurando lo studio, ma quando vide il mio cazzo gonfio, svettante, eretto, tacque, ammutolì, non disse nulla, si voltò, chiuse la porta alle sue spalle. “Studia!” mi disse al di là della porta, con voce un po’ stonata. Me lo aveva visto, sì, adesso lo aveva proprio visto bene; aveva capito che non ero più un ragazzino; le mie dimensioni (l’età no), ma le dimensioni erano buone, andavano bene per lei. Dimenticavo di dire che mia madre è vedova da qualche anno. Lo aveva visto, mi aveva visto, era rimasta forse turbata; certo un pensierino ce lo aveva sicuramente fatto. Anche solo a livello inconscio, forse. Tanto tempo prima mi aveva visto tutto nudo, poi con in mano delle riviste porno; ora aveva visto il mio “affare”, oltretutto così gonfio ed eccitato come di rado mi capita, e proprio in suo onore, mentre m’immaginavo com’era fatta, al di là delle immagini fugaci (quantunque reali) rubate all’attimo fuggente in cui mi soffermavo dietro la serratura dei servizi, oltre la quale non c’era censura, vergogna o senso della misura, ma solo la difficoltà d’inseguire forme concrete, estremamente mobili e sfuggenti nel capriccio imprevedibile della sorte.
    Il primo passo era stato fatto. Sapevo che mi amava. Dovevo solo essere più gentile con lei, come si fa con tutte le donne, magari avrei dovuto studiare di più, starle più vicino, anche psicologicamente, e forse prima o poi quel taglio, quel ventre, quella bocca, quel...pertugio indiscreto e sconveniente, ma reale, dalla parte opposta e un po’ più sotto, con tanto di areola che già avevo di soppiatto più volte intravisto, sarebbero stati finalmente per me, con la sua “gustosa” benedizione, e le contrazioni del suo canale, o fodero, o condotto muscolo-membranoso ancora forte, giovane e vitale...
    “Attilio, la vuoi la merenda?” La porta si aprì nuovamente, il suo viso riapparve, sorridente, oltre la fessura che lei a poco a poco aprì, fin quasi a spalancarla. Io ero ancora completamente nudo, ma non i vergognavo più. Lei sorrideva e pareva proprio non avesse voglia alcuna di disdegnare un po’ di confidenza...
    Non so se ciò che avvenne poi fu veramente reale o parte di una suggestione indotta da una fantasia esasperata, morbosa, e contagiosa, in grado d’imporsi in modo quasi magnetico alla mia con immagini per lo più virtuali. Mezz’ora dopo avevo le dita di entrambe le mani invischiate di una sostanza viscida e colloidale, profumata ed anche maleodorante, dal sapore forte, acido, perfido, estremamente conturbante, ma non era sperma, non era il mio sperma: era la bava ciprigna, schiumosa, lubrificante della vulva di mia madre, eccitata a dismisura, era l’eiaculazione pre-coitale. Vedevo, all’attaccatura burrosa di due gambe senza veli, una bella figa nuda, la sua figa nuda, calda, bianca, pulita, pronta per essere esplorata, aperta, guardata, goduta, sondata, scandagliata, scopata, fottuta, gustata, riempita nella sua candida e apparente verginità con ettolitri di sborra, a fiotti, che mi svuotarono l’anima d’ogni forza, ma riempirono il ventre di lei fino a farla scoppiare, poi le colai giù per la gola, le labbra, le narici, fra le mammelle, ed infine, una volta “allargata” e offertasi alla pecorina, potei aprire al massimo anche l’intimità del suo bel taglio profondo che le divideva le terga, candido e osceno, sublime, scandaloso, scavato fra le natiche pallide e amate e tanto sconce in quella posa e in quel particolare atto, sode ed insolenti, un po’ grasse forse ma anche muscolose, ma così nude, appetitose, e poi così a portata di mano...
     
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  2. haru94hika
     
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    User deleted


    ma sei un maialeeee !!!
     
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1 replies since 23/6/2009, 01:31   7581 views
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