DogPlay

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    Il Comando delle Brigate Nere si trovava a Palazzo Grassi. La residenza, una fra le più blasonate della città, si affacciava sul Lungoparma, a ridosso del torrente, poco lontano dal palazzo della Pilotta un tempo residenza dei Principi Farnese.
    In città erano in molti a sapere dei misfatti perpetuati dai fascisti dentro quelle mura. Passando davanti all’edificio la gente era solita affrettare il passo, senza voltarsi, per paura delle milizie in camicia nera che sostavano dinanzi l’ingresso del palazzo.
    Era nelle secrete del palazzo, adibite a camere di tortura, che venivano interrogati e seviziati gli oppositori del regime. Dopo l’interrogatorio, se ancora vivi, i ribelli erano trasferiti al carcere circondariale di San Francesco, oppure fucilati.

    Oltre ai ribelli ed i sovversivi correva voce che fra le mura del palazzo fossero transitati decine e decine di ebrei provenienti dai territori della provincia. C’era chi li aveva visti salire sopra dei camion e raggiungere la vicina stazione ferroviaria. Lì, avevano preso posto sui vagoni per il trasporto del bestiame e condotti ai campi di lavoro in Germania, perlomeno questa era la versione lasciata trapelare in città dai quadri delle Brigate Nere.
    Quando Viviana uscì di casa una pioggerellina sottile bagnava le strade. A quell’ora della sera le vie erano pressoché deserte. Le finestre delle case, opportunamente oscurate, mancavano di luce al pari delle strade prive d’illuminazione pubblica.
    L’oscuramento era entrato in vigore per proteggere la città dalle incursioni aeree delle fortezze volanti che durante la notte e bombardavano fabbriche e obbiettivi militari in tutta l’Italia del Nord.
    A mezzanotte, oltre all’oscuramento, sarebbe entrato in vigore il coprifuoco a causa dei continui atti di sabotaggio messi in atto dai ribelli contro la milizia fascista.

    A Viviana piaceva camminare per le strade buie del centro, specie sotto la pioggia, quando la gente non ingombrava i marciapiedi e lei poteva muoversi in piena libertà. Quando transitò davanti al Palazzo del Governatore il battente della torre campanaria diede una lunga serie di rintocchi informando la popolazione che erano scoccate le nove.
    Proseguì ostinata verso Palazzo Grassi con la pelliccia di volpe che la proteggeva dal freddo e l’ombrello dalle gocce di pioggia. Attraversò Piazza Garibaldi, tappezzata di manifesti plaudenti il Duce e la guerra contro gli angloamericani, dopodiché si addentrò nel dedalo di viuzze che dal Teatro Regio si snodavano verso Piazza della Ghiaia priva dei banchi degli ambulanti, e salì la breve scalinata che conduce alla passeggiata del Lungoparma.
    Il Comando dei combattenti della Repubblica Sociale Italiana occupava i primi due piani di Palazzo Grassi. I rimanenti tre piani erano adibiti ad alloggio dei funzionari fascisti e le rispettive famiglie. Oltrepassò il portone dell’edificio trovò e ad accoglierla nell’androne trovò Amilcare Bonazzi.
    L’uomo, vecchio militante della milizia fascista, in servizio nella polizia segreta, era intento a chiacchierare con alcuni camerati e due SS. Scorgendola smise di parlare e la salutò mettendo in mostra le gengive rosa pressoché prive di denti. Viviana contraccambiò il saluto con un cenno della mano. Salì i gradini della scala che conduceva ai piani superiori dinoccolando le natiche in maniera scomposta, certa di avere su di sé gli occhi degli uomini che sostavano nell’androne.
    Quando raggiunse il terzo piano dell’edificio si fermò dinanzi a una delle tre porte che si affacciavano sul pianerottolo. Dentro l’appartamento ci sarebbe rimasta per un paio d’ore adoperandosi nel fare godere il gerarca che l’aveva convocata, ed in quello era brava come nessun’altra donna della città. Avrebbe fatto ritorno a casa dopo la mezzanotte su una delle auto del Comando delle Brigate Nere, magari in compagnia del Bonazzi se fosse stato ancora in servizio. E la cosa non le sarebbe dispiaciuta.
    Trovarsi d’innanzi all’abitazione di Adrasto Cagnolati, ras incontrastato della Bassa Parmense, temuto come pochi altri gerarchi fascisti per la brutalità delle sue azioni, non le suscitava una particolare emozione. Bussò alla porta e rimase in attesa che le venisse aperta.
    Una donna anziana, di piccola statura, con una crocchia di capelli annodati sul capo, si affacciò sull’uscio e si premurò di fare accomodare Viviana nell’appartamento.
    - Buonasera, signorina Viviana.
    - Altrettanto a voi Bianca. Il signore è di là?
    - Ha telefonato poc’anzi per avvertirmi che sarebbe arrivato in ritardo. E’ in riunione, ma non tarderà molto. Mi ha raccomandato di farvi accomodare nella camera.
    - Bene… bene.
    - Fa freddo fuori? - chiese l’anziana donna.
    - Non immaginate quanto. - confermò Viviana nel momento in cui misero piede nella stanza da letto.
    - Ho provveduto a farvi trovare il caminetto acceso come si è raccomandato il padrone. - disse indicando le braci ormai senza fiamma, residuo della legna arsa.
    - Ha fatto bene.
    - La legna è lì dentro. - disse indicando il battente di uno sportello accanto al caminetto. - La bottiglia del latte e la ciotola sono al solito posto dentro il comodino.
    - Grazie.
    - Posso fare qualcos’altro per voi?
    - No, avete già fatto anche troppo…
    - Allora vi lascio… buonanotte!
    - Sì, va bene così, grazie di tutto.

    Quando Viviana si trovò sola nella stanza si tolse il cappello e lo distese insieme alla pelliccia di volpe sul letto. Senza perdere tempo si liberò anche dell’abito e rimase in guepiére. Non indossava le calze e nemmeno le mutande, perché così si era raccomandato il padrone di casa. Dall’armadio tolse un paio di stivali da cavallerizza, all’ultima moda, messi lì apposta per lei e si premurò d’indossarli.
    Vestita da ammaestratrice di animali, perché questo era il ruolo affibbiatole, si avvicinò allo specchio incastonato nell’armadio. Guardò la propria immagine riflessa nel vetro e si compiacque della bellezza che sapeva sprigionare il proprio corpo.
    Il busto, rinforzato con stecche di metallo, le assottigliava la vita dandole un aspetto bellicoso di cui andava fiera. Possedeva occhi da lupa, eccitanti come quelli di poche altre donne. Di questo ne erano consci gli uomini che la frequentavano, ma anche il resto del corpo non era male, anzi, era davvero una bella pupa, lei.
    Da uno dei cassetti del comò tolse uno dei frustini da cavallerizza di cui il gerarca possedeva una intera collezione e lo fece schioccare più volte nell’aria, poi si mise seduta sulla poltrona con le ginocchia accavallate e rimase in attesa che giungesse il gerarca.
    Viviana faceva sesso per il piacere di farlo, ma anche per la sete di potere che le derivava dal modo in cui assoggettava i maschi al proprio volere. Questa era una delle ragioni per cui gli uomini andavano pazzi per lei, privilegiando la sua compagnia a quella delle prostitute di Borgo Tasso, uno dei bordelli più chic della città. A lei si rivolgevano gli uomini che desideravano mettere in pratica gli esercizi di sadismo e masochismo per cui andava famosa.
    Provocare una intensa stimolazione di piacere e dolore nel partner era considerata un’arte e lei era brava nel fare godere chi affidava il cazzo nelle sue mani, a cominciare dal modo in cui si accaniva sulla cappella torcendola, percuotendola, grattandola con i denti, mordicchiandola con aggeggi da lei ideati per eccitare i compagni di letto.
    Viviana era una delle poche donne capaci di condurre un uomo fino agli estremi limiti del godimento, più di quanto loro stessi potessero immaginare quando si affidavano a lei.
    Maestra delle torture, specie in quella dei testicoli, era cosciente che molti uomini provavano sensazioni piacevoli quando i loro genitali venivano maneggiati e strizzati con delicatezza dalle sue mani ed anche dai suoi piedi se era necessario. Ma quello per cui andava famosa erano i giochi di ruolo che instaurava con gli amanti, adoperandosi nel soddisfare le esigenze di tutti quei mariti che con le loro mogli non riuscivano ad andare oltre un sessantanove, e che cercavano in lei la persona con cui realizzare le fantasie erotiche che non riuscivano a mettere in pratica con la propria compagna.
    I giochetti che Viviana metteva in atto con gli uomini erano sempre gli stessi, seppure con qualche variante. A cominciare dai più soft, come il semplice giochetto del dottore e quello della mosca ceca, a quello più hard e molto più complesso della schiava.
    Delle pratiche di sadomasochismo la flagellazione era quella che preferiva mettere in atto. Sferzare la pelle di un uomo colpendolo con una cinta di cuoio, oppure con uno scudiscio o la frusta, applicandogli punizioni corporali per una infrazione reale o presunta durante i giochi di ruolo appagava i pruriti Viviana, allo stesso modo di chi le subiva riempiendola di regali per essere percosso da lei.

    Seduta sulla poltrona, accanto al fuoco del caminetto, era in attesa che giungesse il gerarca quando d’improvviso la porta si aprì. Girò lo sguardo in quella direzione, ma solo quando vide la figura del gerarca si alzò in piedi.
    - E’ questa l’ora di arrivare? - disse rivolta all’uomo fermo sulla porta, con indosso la divisa.
    - Ma…
    - Zitto! Non parlare… e chiudi subito la porta.
    - Obbedisco, mia padrona.
    - Ecco così… bravo! Ti voglio ubbidiente come un lurido cane.
    - Sì, proprio come un cane.
    - Ecco, bravo. Adesso levati gli abiti. - disse facendo schiocchiate la frusta in aria.
    Il gerarca, un tipo basso e tarchiato, del tutto calvo, tolse la bandoliera di cuoio che portava tracollo e intorno alla vita. Si liberò della cravatta, della giacca, e degli stivali di cuoio nero.
    - Devo aspettare ancora molto tempo per vederti nudo? - lo assalì Viviana facendo schioccare ancora una volta la frusta in aria.
    Quello che la popolazione considerava un despota, capobanda delle milizie fasciste che imperversavano nelle terre della Bassa Parmense, ed aveva compiuto gli eccidi più orrendi, appariva intimorito di fronte a Vanessa. Lasciò cadere pantaloni e camicia sul pavimento, e rimase in mutande con la canottiera di lana.
    - Allora vuoi fare il furbo eh? Da un ex seminarista come te, non potevo aspettarmi nient’altro che questo.
    - Ma…
    - Togliti subito quella roba di dosso e mettiti carponi sul pavimento! Maledetto di un cane che non sei altro.
    L’ex seminarista ed ex guardia regia, rimasto senza mutande, mise in mostra un cazzo lungo e sottile con la cappella che gli arrivava sino alle ginocchia: del tutto simile a una voglia d’asino.
    Tentò di nascondere il cazzo alla vista della donna incrociando il palmo delle mani sull’inguine, ma era troppo lungo per essere tenuto coperto. Ad un nuovo ordine di Viviana l’uomo si mise con le ginocchia e le mani a terra: a quattro zampe come un animale. Alzò il mento e tirò fuori la lingua dalla bocca latrando come un cane.
    - Bravo! Rispettoso come un cane ti voglio. - disse la donna carezzandogli il capo appena sopra il collo.

    L’addestramento alla obbedienza faceva parte del gioco di ruolo e includeva tutti quegli esercizi che servivano a fare assumere all’uomo i comportamenti tipici dei cani. Il gerarca, dopo tanto esercizio, sapeva immedesimarsi nell’animale e lo faceva molto bene
    - Adesso ti porto a passeggio per la stanza, sei contento?
    - L’uomo alzò il mento in direzione di Viviana ed abbaiò come un cane vero, mostrando in quel modo la propria contentezza.
    - Non essere precipitoso. Ti metto il guinzaglio e poi sarò pronta a condurti a passeggio.
    Viviana raccolse dal pavimento la cravatta lasciata cadere poc’anzi dall’uomo. Gliela legò intorno al collo trattenendo l’estremità della striscia di stoffa nella mano.
    Bloccato dal guinzaglio condusse il ras in giro per la stanza con il cazzo che gli penzolava fra le cosce e strusciava il pavimento con la cappella.
    - Adesso rimani fermo lì che ti porto qualcosa da mangiare. - disse dopo avere legato l’estremità della cravatta alla spalliera del letto.
    Avvicinatasi a uno dei comodini aprì lo sportello. Afferrò la ciotola di ceramica, sistemata su uno dei ripiani, accanto alla bottiglia del latte ed il pitale, e la collocò sul pavimento. Subito dopo prese la bottiglia di latte e ne versò una certa quantità nella ciotola.
    Mentre Viviana versava il latte l’uomo prese a latrare in maniera prolungata dimenando le natiche in segno di contentezza. Smise soltanto quando riuscì a immergere la lingua nella ciotola e cominciò a bere a piccoli sorsi il latte.
    - Bravo… mettiti a bere… così, bravo… senza sporcare intorno, altrimenti sai cosa ti succede.
    Tutt’a un tratto la ciotola sembrò capovolgersi urtata di proposito dal mento dell’uomo. Una certa quantità di latte finì sul pavimento dando forma a una chiazza bianca. Viviana prese a colpire il gerarca con lo scudiscio sulla pelle nuda rendergli rovente schiena. L’uomo, per nulla dispiaciuto, rimase carponi e incominciò a masturbarsi senza sosta, fintanto che Viviana gli si smise cavallo sopra la schiena colpendolo sulle natiche col frustino, incitandolo a correre per la stanza a quattro zampe impedendogli di eiaculare, cosa che peraltro al gerarca succedeva assai raramente.
    Diversamente dal solito rinunciò a fargli sollevare un anca e pisciare contro la pianta posta in un angolo della stanza. Nemmeno gli lanciò qualche oggetto per farselo portare indietro stretto fra i denti. Arrestò la corsa dell’uomo davanti al caminetto e lo mise a cuccia davanti a sé. Diede la schiena alle ceneri, dando calore alle natiche e alle gambe divaricate, poi gli impose di avvicinarsi.
    - Succhia! - ordinò indicandogli col frustino la fessura della fica.
    Il gerarca si piegò sulle ginocchia. Sollevò le braccia a mezz’aria lasciando i polsi cadenti. Da quella posizione calcò le guance fra le cosce di Viviana e cominciò a lambirla con la lingua aspergendo di saliva le labbra della fica. Proseguì a leccarla, masturbandosi nello stesso tempo, cercando di condurla all’orgasmo.
    Tutt’a un tratto le sirene dell’allarme antiaereo iniziarono a suonare. Mentre le bombe passavano sulle loro teste proseguirono nel loro gioco, eccitati dalla pericolosa situazione in cui si erano venuti a trovare. Mentre facevano l’amore udivano il sibilare delle bombe che cadevano poco distanti, ne seguivano la discesa col fiato sospeso incapaci di raggiungere l’orgasmo che sentivano ormai prossimo ed a cui non volevano rinunciare.
    Quella notte le bombe caddero numerose sulla città colpendo la stazione ferroviaria e la Scuola d’Applicazione di Fanteria.
    Una seconda ondata di fortezze volanti sganciò sopra l’Oltretorrente ed il Lungoparma una cascata di bombe che provocarono numerosi morti e feriti fra la popolazione.
    Palazzo della Pilotta fu colpito dalle bombe. Il Teatro Farnese andò a fuoco. Un’ala del carcere di San Francesco venne distrutta. Palazzo Grassi rimase gravemente danneggiato da una ordigno esploso sulla fiancata dell’edificio.
    L’indomani mattina fra le macerie del palazzo furono ritrovati i corpi senza vita di Adrasto Cagnolati, ras della Bassa Parmense e quello di Viviana. Giacevano nudi uno sopra l’altro in un ultimo abbraccio mortale.
     
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