Alle Fronde dei Salici - Quasimodo [Parafrasi, Commento e Analisi]

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  1. <Petrosyan>
     
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    ALLE FRONDE DEI SALICI

    e come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
    d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo telegrafo?
    alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento.




    Parafrasi: E come potevamo noi, poeti, continuare a scrivere poesie durante l'oppressione tedesca, con i morti sparsi sui prati gelati nelle piazze, con il pianto innocente dei fanciulli, con l'urlo disperato delle madri che cercavano i figli uccisi e impiccati al palo del telegrafo?
    Per un voto di silenzio le nostre cetre erano appese ai rami dei salici, oscillavano inerti al triste vento della guerra.

    Commento:

    Nel settembre 1943 l’Italia risultava divisa in due parti: nella parte meridionale, controllata dagli Alleati, era stata restaurata la monarchia, sotto il re Vittorio Emanuele III. Nella parte centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, Mussolini aveva creato la Repubblica sociale italiana. Dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 l’esercito di liberazione condusse una lotta senza esclusione di colpi contro i tedeschi e i fascisti, che rispondevano con rastrellamenti, deportazioni e veri e propri massacri. Di fronte agli orrori, ai mali della guerra, i poeti non potevano scrivere poesie, ma solo agire, così come gli antichi ebrei schiavi a Babilonia che appesero le loro cetre ai rami dei salici. Particolarmente forti, dure, crude sono le immagini di questa lirica: i morti nelle piazze, la madre che vede il figlio crocifisso sul palo del telegrafo. Il testo, costituito da una sola strofa presenta due periodi: il primo è una lunga interrogazione, il secondo una rapida dichiarazione. I temi principali esposti sono due: i mali della guerra che non lascia spazio ad alcuna pietà e la poesia come impegno civile, per rifare l’uomo e con esso la società, abbruttiti dagli orrori del conflitto.







    la rappresentazione degli orrori commessi dai nazisti sulla popolazione inerme degli italiani, massacri che suscitavano panico e paura tra i civili e il silenzio dei poeti. Orribili erano i morti abbandonati nelle piazze, il lamento dei fanciulli, il grido straziante della madre che vedeva il proprio figlio appeso sul palo del telegrafo. Scene reali che si verificavano nelle città e nelle campagne italiane. I nazisti occupavano il Paese e i poeti non trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il dolore che avevano nel cuore, nell’anima. Tanto dolore paralizza la mano e offusca la mente. I poeti erano ridotti all’impotenza, avevano finito di scrivere versi e avevano appeso i lori fogli puliti al vento della guerra perché la poesia è impotente di fronte ai morti e alla barbarie. Come scrive Maurizio Dardano: «Lievi. Questo aggettivo sottolinea la fragilità della poesia e quasi la sua inconsistenza, la sua apparente impotenza di fronte ai grandi rivolgimenti della storia».

    Marisa Carlà scrive: «L’idea che muove tutta la lirica è che, in presenza della violenza e della crudeltà della guerra e della disumanizzazione dell’uomo, la poesia è costretta a tacere […] Nel verso conclusivo la poesia viene simboleggiata dalle cetre appese ai salici oscillanti al vento, per l’angoscia di quei giorni dolorosi della nostra storia. La sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione straniera significa anche la volontà di fare poesia diversa e nuova dopo l’impronta profonda e incancellabile lasciata dalla guerra nella coscienza degli uomini».

    È l’impossibilità da parte dei poeti di scrivere poesie quando la patria è occupata dal nemico, quando la popolazione soffre e piange i suoi difensori, quando la madre perde il proprio figlio. Il poeta non aveva l’animo lieto e non riusciva a trovare le parole per esprimere la propria rabbia contro il nemico occupante, così come gli ebrei, durante la prigionia in Babilonia, non riuscivano a cantare i loro salmi ed avevano appeso le loro cetre sulle fronde dei salici. Quasimodo prende spunto proprio dal salmo 137 della Bibbia dove si narra che gli ebrei avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la gioia di cantare perché prigionieri in terra straniera.

    I poeti non potevano scrivere poesie finché la patria era in mani nemiche. «Un sentimento di commozione religiosa pervade questi versi, che nascono non a caso da una memoria biblica. Di qui il carattere meditativo e solenne che assume lo stesso orrore, mescolando al presente immagini archetipiche di sacrificio e di martirio ( il ricordo di agnelli sgozzati, le esecuzioni paragonate all’uccisione di Cristo, una madre che ricorda la figura di Maria ai piedi della Croce). Ma il dolore è impotente e la poesia non può offrire, per voto, che il silenzio, nell’immagine delle cetre che oscillano – quasi in balia di se stesse – alle fronde dei salici, un albero che rappresenta il pianto e il dolore». (Guido Baldi, Storie e testi pagina 353). Maurizio Dardarno scrive: «Al grido di sconforto iniziale segue la rievocazione delle atrocità commesse dagli occupanti tedeschi; in una situazione del genere il poeta non può astrarsi dalla realtà, rifugiandosi nella letteratura, ma deve condividere fino in fondo il dramma del suo popolo. Anche l’arte muore, quando muoiono i sentimenti più elementari di pietà e di umanità; di conseguenza la cetra, strumento e simbolo della poesia, rimane appesa agli alberi, inutilizzata, finché non si ristabiliscano, con il contribuito di tutti, le condizioni del vivere civile». ( da I testi, le forme, la storia pagina 839).

    Il linguaggio della poesia è contemporaneamente alto e figurato, simbolico e concreto, retorico e limpido. È costruito su molteplici figure retoriche, ma è anche ritmato e cadenzato. I versi, endecasillabi sciolti, danno un andamento veloce alla poesia che inizia con una domanda retorica e una spiegazione finale. Le immagini di dolore si succedono una dopo l’altra con una velocità crescente. La risposta è lenta ed esprime la rassegnazione del poeta sull’impotenza della poesia a risolvere le sorti della guerra. Come scrive Marisa Carlà: «La lirica è composta da due periodi: il primo, in cui le immagini evocano gli orrori della guerra dell’occupazione nazista, è una lunga domanda che si apre con “E come”, che già dà il senso dell’interrogarsi angoscioso del poeta; gli ultimi tre versi costituiscono la seconda parte, esplicativa». (da Epoche e culture pagina 615)

    Guido Baldi scrive: «Il discorso si sviluppa in forme più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore, attraverso la chiara scansione degli endecasillabi». ( pagina 353)

    Figure di stile si susseguono numerose: «la domanda retorica iniziale, la metafora (con il piede straniero sopra il cuore), l’analogia (al lamento d’agnello dei fanciulli ) la sinestesia (l’urlo nero ), l’enjambement (al lamento / d’agnello) contribuisce a mettere in rilievo l’analogia istituita tra il pianto dei bambini, e il belato degli agnelli, indifesi di fronte allo spettacolo della violenza, i simboli della cetra che rappresenta la poesia, e il salice che simboleggia l’albero del pianto». (Dardano, pagina 840).

    Per molti critici Alle fronde dei salici è costruita con figure retoriche proprie dell’ermetismo, secondo altri la poesia è costruita con un linguaggio più prosastico e più nuovo. Secondo Marisa Carlà: «Dell’ermetismo rimane soprattutto il gusto per l’analogia e la sinestesia, che tende a rendere più drammatico il senso di crudeltà e di orrore della guerra, che assume nella lirica un carattere solenne, mescolando insieme immagini bibliche si sacrificio e di martirio». Mentre Riccardo Marchese scrive: «Il testo, molto suggestivo, può essere letto anche come dichiarazione di poetica: la sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione sembra significare la volontà di dare poesia diversa e nuova, ora che tale oppressione ha lasciato un’impronta incancellabile nella coscienza degli uomini. Di tale intenzione sono testimonianza l’uso della prima persona plurale. Con cui il poeta si fa interprete di un sentimento collettivo, la denuncia della barbarie e l’implicito richiamo ai valori primari della vita e dell’umanità e soprattutto l’urgenza comunicativa, che rende trasparente lo stile e cancella quasi ogni traccia dell’analogismo ermetico, che si riduce al lamento / d’agnello e all’urlo nero della madre, in cui peraltro si ravvisa piuttosto una intenzione espressionistica (ancora più evidente nel corpo appeso al palo del telegrafo). ( Da Atlante letterario pagina 551)

    Il tono emotivo è intenso e vibrante. l'autore manifesta tutta la sua l'impotenza come uomo e come poeta; ne esce una poesia sofferta e rabbiosa, che esprime la volontà di urlare il proprio dolore contro il dominio straniero, ma esprime anche il senso di liberazione che il poeta, insieme al popolo italiano, stava vivendo in quei mesi, mentre lotta con i fucili in pugno. La lirica esprime in modo chiaro che la poesia è tornata, e ora può dire tutto il silenzio che è stato necessario subire nei due lunghi anni di guerra fratricida, come ha spiegato lo stesso autore:

    «La poesia è stata scritta alla fine dell’inverno del 1944 nel periodo più credule della nostra storia. Nasce da un richiamo a un salmo della Bibbia, precisamente il 137°, che parla del popolo ebreo trascinato in schiavitù a Babilonia. È un riferimento culturale. Il poeta non canta, dico io nel primo verso; e questo lo dicevano gli ebrei perché il canto è la rivelazione più profonda del sentimento dell’uomo. “Al lamento / d’agnello dei fanciulli” , da questo sterminio non è stata risparmiata nemmeno l’infanzia. Basta ricordare l’episodio di Marzabotto dove sono stati fucilati e bruciati 1800 italiani. Fra questi, anche bambini di due anni» (Salvatore Quasimodo).

    La lexis di Alle fronde dei salici è chiara e personale. Esprime il nuovo modo si scrivere di Quasimodo dopo la prima opera Acque e terre e dopo il periodo ermetico. Ora il poeta si avvia alla nuova di poesia sociale, civile e corale come scrive nel primo dei saggi sulla poesia nel 1946.

    La sua bellezza poggia su di un linguaggio nuovo e chiaro, costruito su tecniche ermetiche ma oramai sganciate dall’ermetismo, ed esprime la volontà del poeta di far parlare la poesia dopo il periodo di silenzio. Come scrive Francesco Puccio: «Il testo è animato da una fortissima tensione etica che trova riscontro nell’impegno di Quasimodo di definire il ruolo del poeta e della poesia. In Alle fronde dei salici, pubblica nel 1945, quando la ferocia e la barbarie nazifascista imperversavano, il poeta esprime la volontà di “rifare l’uomo”. Davanti alla poesia sconvolta dalle distruzioni della guerra il poeta si chiude nella protesta del silenzio, animandola di una forte tensione etica»











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  2. SAMFORD98
     
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    GAZIE TANTE MI SERVIVA


    BRAVO
     
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    bravo
     
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    grazie sei un grande :lol: v9BQygz
     
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  5. NESSUNO4
     
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    GRAZIE MILLE :D
     
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    sei un mito

     
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    CITAZIONE (<Petrosyan> @ 4/6/2009, 17:51) 
    ALLE FRONDE DEI SALICI

    e come potevamo noi cantare
    con il piede straniero sopra il cuore,
    fra i morti abbandonati nelle piazze
    sull'erba dura di ghiaccio, al lamento
    d'agnello dei fanciulli, all'urlo nero
    della madre che andava incontro al figlio
    crocifisso sul palo telegrafo?
    alle fronde dei salici, per voto,
    anche le nostre cetre erano appese,
    oscillavano lievi al triste vento.




    Parafrasi: E come potevamo noi, poeti, continuare a scrivere poesie durante l'oppressione tedesca, con i morti sparsi sui prati gelati nelle piazze, con il pianto innocente dei fanciulli, con l'urlo disperato delle madri che cercavano i figli uccisi e impiccati al palo del telegrafo?
    Per un voto di silenzio le nostre cetre erano appese ai rami dei salici, oscillavano inerti al triste vento della guerra.

    Commento:

    Nel settembre 1943 l’Italia risultava divisa in due parti: nella parte meridionale, controllata dagli Alleati, era stata restaurata la monarchia, sotto il re Vittorio Emanuele III. Nella parte centro-settentrionale, occupata dai tedeschi, Mussolini aveva creato la Repubblica sociale italiana. Dall’8 settembre 1943 al 25 aprile 1945 l’esercito di liberazione condusse una lotta senza esclusione di colpi contro i tedeschi e i fascisti, che rispondevano con rastrellamenti, deportazioni e veri e propri massacri. Di fronte agli orrori, ai mali della guerra, i poeti non potevano scrivere poesie, ma solo agire, così come gli antichi ebrei schiavi a Babilonia che appesero le loro cetre ai rami dei salici. Particolarmente forti, dure, crude sono le immagini di questa lirica: i morti nelle piazze, la madre che vede il figlio crocifisso sul palo del telegrafo. Il testo, costituito da una sola strofa presenta due periodi: il primo è una lunga interrogazione, il secondo una rapida dichiarazione. I temi principali esposti sono due: i mali della guerra che non lascia spazio ad alcuna pietà e la poesia come impegno civile, per rifare l’uomo e con esso la società, abbruttiti dagli orrori del conflitto.







    la rappresentazione degli orrori commessi dai nazisti sulla popolazione inerme degli italiani, massacri che suscitavano panico e paura tra i civili e il silenzio dei poeti. Orribili erano i morti abbandonati nelle piazze, il lamento dei fanciulli, il grido straziante della madre che vedeva il proprio figlio appeso sul palo del telegrafo. Scene reali che si verificavano nelle città e nelle campagne italiane. I nazisti occupavano il Paese e i poeti non trovavano le parole per esprimere lo sconforto e il dolore che avevano nel cuore, nell’anima. Tanto dolore paralizza la mano e offusca la mente. I poeti erano ridotti all’impotenza, avevano finito di scrivere versi e avevano appeso i lori fogli puliti al vento della guerra perché la poesia è impotente di fronte ai morti e alla barbarie. Come scrive Maurizio Dardano: «Lievi. Questo aggettivo sottolinea la fragilità della poesia e quasi la sua inconsistenza, la sua apparente impotenza di fronte ai grandi rivolgimenti della storia».

    Marisa Carlà scrive: «L’idea che muove tutta la lirica è che, in presenza della violenza e della crudeltà della guerra e della disumanizzazione dell’uomo, la poesia è costretta a tacere […] Nel verso conclusivo la poesia viene simboleggiata dalle cetre appese ai salici oscillanti al vento, per l’angoscia di quei giorni dolorosi della nostra storia. La sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione straniera significa anche la volontà di fare poesia diversa e nuova dopo l’impronta profonda e incancellabile lasciata dalla guerra nella coscienza degli uomini».

    È l’impossibilità da parte dei poeti di scrivere poesie quando la patria è occupata dal nemico, quando la popolazione soffre e piange i suoi difensori, quando la madre perde il proprio figlio. Il poeta non aveva l’animo lieto e non riusciva a trovare le parole per esprimere la propria rabbia contro il nemico occupante, così come gli ebrei, durante la prigionia in Babilonia, non riuscivano a cantare i loro salmi ed avevano appeso le loro cetre sulle fronde dei salici. Quasimodo prende spunto proprio dal salmo 137 della Bibbia dove si narra che gli ebrei avevano appeso le loro cetre sui rami dei salici e avevano perso la gioia di cantare perché prigionieri in terra straniera.

    I poeti non potevano scrivere poesie finché la patria era in mani nemiche. «Un sentimento di commozione religiosa pervade questi versi, che nascono non a caso da una memoria biblica. Di qui il carattere meditativo e solenne che assume lo stesso orrore, mescolando al presente immagini archetipiche di sacrificio e di martirio ( il ricordo di agnelli sgozzati, le esecuzioni paragonate all’uccisione di Cristo, una madre che ricorda la figura di Maria ai piedi della Croce). Ma il dolore è impotente e la poesia non può offrire, per voto, che il silenzio, nell’immagine delle cetre che oscillano – quasi in balia di se stesse – alle fronde dei salici, un albero che rappresenta il pianto e il dolore». (Guido Baldi, Storie e testi pagina 353). Maurizio Dardarno scrive: «Al grido di sconforto iniziale segue la rievocazione delle atrocità commesse dagli occupanti tedeschi; in una situazione del genere il poeta non può astrarsi dalla realtà, rifugiandosi nella letteratura, ma deve condividere fino in fondo il dramma del suo popolo. Anche l’arte muore, quando muoiono i sentimenti più elementari di pietà e di umanità; di conseguenza la cetra, strumento e simbolo della poesia, rimane appesa agli alberi, inutilizzata, finché non si ristabiliscano, con il contribuito di tutti, le condizioni del vivere civile». ( da I testi, le forme, la storia pagina 839).

    Il linguaggio della poesia è contemporaneamente alto e figurato, simbolico e concreto, retorico e limpido. È costruito su molteplici figure retoriche, ma è anche ritmato e cadenzato. I versi, endecasillabi sciolti, danno un andamento veloce alla poesia che inizia con una domanda retorica e una spiegazione finale. Le immagini di dolore si succedono una dopo l’altra con una velocità crescente. La risposta è lenta ed esprime la rassegnazione del poeta sull’impotenza della poesia a risolvere le sorti della guerra. Come scrive Marisa Carlà: «La lirica è composta da due periodi: il primo, in cui le immagini evocano gli orrori della guerra dell’occupazione nazista, è una lunga domanda che si apre con “E come”, che già dà il senso dell’interrogarsi angoscioso del poeta; gli ultimi tre versi costituiscono la seconda parte, esplicativa». (da Epoche e culture pagina 615)

    Guido Baldi scrive: «Il discorso si sviluppa in forme più comunicative, insieme drammatiche e composte nel loro misurato rigore, attraverso la chiara scansione degli endecasillabi». ( pagina 353)

    Figure di stile si susseguono numerose: «la domanda retorica iniziale, la metafora (con il piede straniero sopra il cuore), l’analogia (al lamento d’agnello dei fanciulli ) la sinestesia (l’urlo nero ), l’enjambement (al lamento / d’agnello) contribuisce a mettere in rilievo l’analogia istituita tra il pianto dei bambini, e il belato degli agnelli, indifesi di fronte allo spettacolo della violenza, i simboli della cetra che rappresenta la poesia, e il salice che simboleggia l’albero del pianto». (Dardano, pagina 840).

    Per molti critici Alle fronde dei salici è costruita con figure retoriche proprie dell’ermetismo, secondo altri la poesia è costruita con un linguaggio più prosastico e più nuovo. Secondo Marisa Carlà: «Dell’ermetismo rimane soprattutto il gusto per l’analogia e la sinestesia, che tende a rendere più drammatico il senso di crudeltà e di orrore della guerra, che assume nella lirica un carattere solenne, mescolando insieme immagini bibliche si sacrificio e di martirio». Mentre Riccardo Marchese scrive: «Il testo, molto suggestivo, può essere letto anche come dichiarazione di poetica: la sospensione della poesia durante gli anni dell’oppressione sembra significare la volontà di dare poesia diversa e nuova, ora che tale oppressione ha lasciato un’impronta incancellabile nella coscienza degli uomini. Di tale intenzione sono testimonianza l’uso della prima persona plurale. Con cui il poeta si fa interprete di un sentimento collettivo, la denuncia della barbarie e l’implicito richiamo ai valori primari della vita e dell’umanità e soprattutto l’urgenza comunicativa, che rende trasparente lo stile e cancella quasi ogni traccia dell’analogismo ermetico, che si riduce al lamento / d’agnello e all’urlo nero della madre, in cui peraltro si ravvisa piuttosto una intenzione espressionistica (ancora più evidente nel corpo appeso al palo del telegrafo). ( Da Atlante letterario pagina 551)

    Il tono emotivo è intenso e vibrante. l'autore manifesta tutta la sua l'impotenza come uomo e come poeta; ne esce una poesia sofferta e rabbiosa, che esprime la volontà di urlare il proprio dolore contro il dominio straniero, ma esprime anche il senso di liberazione che il poeta, insieme al popolo italiano, stava vivendo in quei mesi, mentre lotta con i fucili in pugno. La lirica esprime in modo chiaro che la poesia è tornata, e ora può dire tutto il silenzio che è stato necessario subire nei due lunghi anni di guerra fratricida, come ha spiegato lo stesso autore:

    «La poesia è stata scritta alla fine dell’inverno del 1944 nel periodo più credule della nostra storia. Nasce da un richiamo a un salmo della Bibbia, precisamente il 137°, che parla del popolo ebreo trascinato in schiavitù a Babilonia. È un riferimento culturale. Il poeta non canta, dico io nel primo verso; e questo lo dicevano gli ebrei perché il canto è la rivelazione più profonda del sentimento dell’uomo. “Al lamento / d’agnello dei fanciulli” , da questo sterminio non è stata risparmiata nemmeno l’infanzia. Basta ricordare l’episodio di Marzabotto dove sono stati fucilati e bruciati 1800 italiani. Fra questi, anche bambini di due anni» (Salvatore Quasimodo).

    La lexis di Alle fronde dei salici è chiara e personale. Esprime il nuovo modo si scrivere di Quasimodo dopo la prima opera Acque e terre e dopo il periodo ermetico. Ora il poeta si avvia alla nuova di poesia sociale, civile e corale come scrive nel primo dei saggi sulla poesia nel 1946.

    La sua bellezza poggia su di un linguaggio nuovo e chiaro, costruito su tecniche ermetiche ma oramai sganciate dall’ermetismo, ed esprime la volontà del poeta di far parlare la poesia dopo il periodo di silenzio. Come scrive Francesco Puccio: «Il testo è animato da una fortissima tensione etica che trova riscontro nell’impegno di Quasimodo di definire il ruolo del poeta e della poesia. In Alle fronde dei salici, pubblica nel 1945, quando la ferocia e la barbarie nazifascista imperversavano, il poeta esprime la volontà di “rifare l’uomo”. Davanti alla poesia sconvolta dalle distruzioni della guerra il poeta si chiude nella protesta del silenzio, animandola di una forte tensione etica»











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