La chimera - Vassalli [Riassunto, analisi e commento]

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  1. <Petrosyan>
     
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    "La chimera” può essere classificata tra le prime opere della maturità di Sebastiano Vassalli, uno dei personaggi di maggior rilievo nel panorama letterario italiano della seconda metà del ‘900. Le origini del romanzo si riscontrano nel “Gruppo 63”, al quale appartenevano numerosi letterati italiani del secolo scorso, che si distinguevano per la ricerca di originali forme linguistiche e strutturali. Con “La chimera” Vassalli mostra di aver concluso questa fase di studio sicuramente in favore di forme più tradizionali, per dedicarsi alla produzione di romanzi storici, frutto di accurate ricerche. Egli ci offre un quadro della realtà storica, una visione pessimistica che emerge anche in altre sue opere contemporanee.
    "La Chimera" è un romanzo storico ambientato tra la fine delle guerre di religione e l’inizio della guerra dei Trent’anni. L’Europa e l’Italia attraversano un periodo di relativa pace, caratterizzato però da manifestazioni di intolleranza religiosa. E’ un’epoca di grandi tensioni, che vede anche l’opposizione della Chiesa nei confronti dell’evolversi della scienza. L’antifemminismo religioso, in età medioevale, impone di fuggire la donna “arma del demonio, causa prima della nostra perdizione”. Sono tollerate la moglie che assicura la progenie, la madre che alleva i figli, la tessitrice operosa, la contadina instancabile, la vecchia fidata e silenziosa, la suora murata nella sua clausura, ma tutte le altre sono sospette, soprattutto le giovani e belle che suscitano odio e desideri.
    Iniziata nel tardo Trecento, la persecuzione alle donne accusate di aver stretto un patto con Satana e di compiere inauditi malefici ai danni dell’umanità dilaga nei secoli successivi. Anche Carlo Borromeo, santo, ordina vari processi che vedono condannate e bruciate molte streghe.
    Alle streghe, nel Seicento, il popolo agita pugni e bastoni, come nel paese di Zardino l’11 settembre 1610, giorno in cui viene arsa al rogo Antonia, la protagonista del romanzo La chimera di Sebastiano Vassalli.
    Accompagnata da espressioni come Maledetta strega! Devi crepare! A morte! Al rogo! ossessivamente urlate dal popolo, sadico nella sua bestiale ignoranza, la ragazza-strega, vittima innocente, chiusa nella carrozza che la porta al patibolo, incapace di comprendere, fino a quel momento, le ragioni delle sue sofferenze, sembra finalmente rendersi conto di quanto il mondo sia insensato. E’ una vera e propria fiera quella che si festeggia a Zardino dove le comari espongono stoffe colorate ai balconi e accendono lumini alle finestre, ansiose di vedere bruciare la strega, mentre l’orizzonte si accende del rosso del tramonto e Antonia pallidissima spalanca i suoi grandi occhi neri senza vedere nulla, tanto grande è il terrore. Nessuno ha pietà di lei, tranne il boia, Mastro Bernardo. Quest’ultimo sa che bruciare vivi è la cosa più orrenda che ci sia e aiuta Antonia dandole un calmante per stordirla.
    La scena finale, detta sgomento. La povera vittima viene tirata per le ascelle come se fosse stata senza peso, legata al palo per le braccia, per le caviglie, perfino per la vita. Mentre la folla è in assurdo giubilo Antonia si dissolve silenziosa come è vissuta. Il silenzio, infatti, è la caratteristica fondamentale di questo personaggio che osserva più che parlare, diversa dalle altre.
    Il romanzo di Vassalli inizia proprio in una silenziosa notte di gennaio, priva della luce della luna, una notte nera come il colore degli occhi e della pelle della neonata trovata, silenziosa, senza un vagito, sul tornio cioè sulla grande ruota in legno che si trovava all’ingresso della Casa di Carità di San Michele fuori le mura, a Novara.
    E’ una specie di mostro quello che vedono le inservienti dell’istituto: mostro che disturba il loro sonno.
    Più volte Vassalli usa il termine mostro per adottare il punto di vista di chi viene a contatto con Antonia, un’esposta, figlia del peccato più di qualunque altra, marchiata, colpevole per natura, un’altra, una diversa.
    Antonia cresce timida e obbediente, perché impaurita dai castighi, tremendi nella Casa di Carità: un piccolo banale incidente la costringe a rimanere chiusa nello stanzino del digiuno, una grotta sotto terra, umida, abitata da scarafaggi e ragni.
    Qui Antonia conosce Rosalina, un’esposta come tante: a dieci anni è ceduta ad un panettiere che abusa di lei e la costringe alla prostituzione in una casa di tolleranza.
    Le donne, nel Seicento, sono tutte vittime: invecchiano precocemente, come Francesca Nidasio che conosciamo infagottata in uno scialle nero, con un abito lungo sul corpo deformato dalle fatiche. E’ lei, insieme al marito, a portar via Antonia che si sente crollare il mondo addosso, vuole rimanere nell’unico luogo che conosce: piange per il terrore della novità di una vita che non sa immaginare al di fuori di quelle mura. Sta rannicchiata nel carro mentre i Nidasio, Francesca soprattutto, la rassicurano, ma inutilmente; solo la sua naturale curiosità la trascina incantata ad osservare il paesaggio che la circonda e che riesce a mitigare la sua sofferenza asciugandole le lacrimeIl capitolo quarto del romanzo, iniziato con il dolore di Antonia, termina con note quasi idilliche, una specie di preludio, in sintonia con l’affetto dei genitori che accompagnerà sempre Antonia nel suo soggiorno a Zardino, in antitesi con il clima che si crea subito in paese contro di lei, un’esposta, una figlia del Diavolo! Una piccola stria!
    L’esposta non è mai accettata e ogni azione, anche la più innocente, si ritorce contro di lei: Biagio è punito, chiuso in una stanza per tre giorni senza cibo, per essere liberato dal Diavolo di Antonia che lo incanta con sguardi e gesti di strega, come sostiene la zia del ragazzo; il pittore di edicole che ritrae una Madonna con le fattezze dell’esposta è stravagante, stregato, secondo le bigotte donne del paese; il ballo involontario e innocente con uno dei Lanzichenecchi che irrompono in paese è motivo di sdegno.
    Di Antonia, in paese, si parla sempre di più, soprattutto d’inverno, nelle stalle, dove ci si riunisce la sera, riscaldati dal calore degli animali: Antonia è proprio diversa, una stria, perché osa persino respingere pretendenti del calibro di Pier Luigi Caroelli, nipote di un feudatario. Inoltre la misteriosa morte di alcuni animali e l’afasia che colpisce donne e bambine, sono interpretati come artifici diabolici e stregheschi con cui si accalappiava i suoi morosi .
    Cresce l’attenzione verso le parole, gli atti di Antonia nei confronti della quale si chiede aiuto a don Teresio che il 12 aprile 1610 presenta la sua denuncia al Sant’Uffizio. Manini, nella convinzione che le streghe sono le spose del Diavolo, interroga Antonia schiacciandola con la sopraffazione della lingua toscana, così diversa dal dialetto della bassa.
    Apparentemente il comportamento di Antonia sembra simile a quello di altre donne accusate di stregoneria, come Gostanza di San Miniato, che, ormai preda di un infernale circolo vizioso che Sigmund Freud ci ha insegnato a decifrare, forniscono ai propri persecutori elementi atti a provare la loro colpevolezza. In realtà Antonia mantiene la sua lucidità, ammette i rapporti carnali col Diavolo perchè conosce benissimo l’identità di costui e la confessione è un’accusa all’amante che l’ha abbandonata.
    Manini, ottenuto il consenso dal vescovo Bascapè, tornato da Roma sconfitto e umiliato, decide per il rogo, mentre a Zardino i Nidasio finiscono in miseria perché costretti a pagare tutte le spese del processo e … delle torture. Emessa la sentenza, giunto il giorno del supplizio, Antonia si meraviglia dei lavori che fervono nella sua cella e, non ancora annientata, quasi si lega ad un filo di speranza, speranza che si spegne definitivamente quando i due carcerieri approfittano a turno di lei, resa quasi muta da un morso di ferro e cuoio inseritole a forza tra i denti e legato dietro la nuca. La fine del libro appare scontata, anche se il desiderio di mutare la realtà porta a sperare in un rivolgimento degli avvenimenti che, più si evolvono, più rafforzano quel presentimento. L’idea d’ingiustizia pervade tutto il testo come filo conduttore della vicenda, e non può portare ad altro che ad un’atroce finale.



    Titolo: La Chimera
    Autore: Sebastiano Vassalli
    Anno di pubblicazione: 1990 (Premio Strega e Premio Selezione Campiello).

    Genere: romanzo storico (perché è stato tratto da un vero manoscritto che ha testimoniato il processo della strega).

    Fabula ed intreccio si sviluppano quasi parallelamente; a volte però l’autore anticipa ciò che deve accadere, oppure racconta la storia passata della bassa tornando indietro di molti anni. Rievocazione

    Trama
    Antonia, orfanella abbandonata nei pressi del convento di S. Michele a Novara, passa l'infanzia tra le suore e numerose funzioni religiose. Nella Pia Casa la bambina crebbe con gli altri esposti in un ambiente triste e severo.
    Durante la sua permanenza in convento Antonia conobbe Rosalina, una bambina costretta dalle sue condizioni di miseria a prostituirsi, la quale mise in discussione per la prima volta ad Antonia l’operato delle sorelle della Pia Casa, aprendole gli occhi alla cruda realtà.
    Ogni tanto facevano visita all'edificio, in cui vivevano gli esposti, delle persone intenzionate all'adozione, i quali la maggior parte delle volte preferiva adottare bambine laboriose e brutte, per evitare le conseguenze di una gravidanza inaspettata. Per quest’Antonia, che ben presto si differenziò dalle altre esposte per la sua bellezza, aveva poche possibilità di essere adottata.
    Fin quando alla Pia Casa giunsero due umili contadini di Zardino, Bartolo e Francesca Nidasio, i quali scelsero proprio Antonia.
    Arrivati nel piccolo paese di Zardino, le vicine iniziarono a parlare della novità chiedendosi come mai i Nidasio avessero adottato un’esposta, considerata figlia del peccato.
    Col tempo Antonia conobbe le figlie dei suoi vicini, Anna, Chiara e Teresina, con le quali passava gran parte del suo tempo.
    Attirato dalla bellezza d’Antonia, Biagio "lo scemo" s’innamorò della ragazza, l'unica ad essere gentile con lui, dando spettacolo di se ed innervosendo le sue zie.
    Infatti, egli era nipote delle gemelle Borghesini che, essendo in lite coi Nidasio, cominciarono ad accusare Antonia di aver rovinato Biagio con la magia.
    Nel frattempo in città si susseguono importanti avvenimenti: il vescovo Carlo Bascapè viene confinato nella diocesi di Novara perché contrario alla Roma cattolica e corrotta di questi tempi. Uomo dal grande carisma e grandi ideali, il nuovo vescovo rivoluziona la vita dei fedeli e attua subito diverse riforme tra cui quella di ripulire le parrocchie dai parroci corrotti. Anche Zardino quindi si ritrova espropriata del suo Don Michele per lasciar spazio all'ambizioso giovane Don Teresio, che abitua i paesani e numerose cerimonie e offerte in denaro
    Un giorno arrivarono a Zardino i Lanzi, famosi per le razzie e le violenze che compivano nei paesi in cui passavano, di conseguenza tutta la popolazione si ritirò nelle proprie case, tranne Antonia e le sue due amiche che erano andate la mattina presto nel bosco e non ne sapevano nulla.
    Appena i Lanzi le videro arrivare ne furono felici ed un soldato ballò con la bell’Antonia.
    I compaesani ne furono stupiti e Don Teresio, un prete particolarmente rigido e severo, la scomunicò.
    Giunta ormai a diciannove anni la ragazza si innamora di un camminante (vagabondo) che riunisce squadre di risaroli ,e lui le fa grandi promesse. Questa storia d'amore la porta ad uscire di notte per incontrarsi con lui sul dosso dell'albera (collina con un castano sotto il quale si narrava si incontrassero le streghe). Antonia viene sorpresa più volte dai Fratelli Cristiani (pattuglia dell'epoca per controllare i risaroli), che la riportano a casa con la forza.
    Alla fine dell'inverno cominciarono ad accadere fatti strani nel villaggio ad esempio animali che si ammalavano misteriosamente e segni demoniaci tracciati sulla neve.
    Ben presto cominciò a circolare la voce che fosse tutta opera di Antonia e Don Teresio andò a denunciarla al Sant'Uffizio di Novara.
    Del caso si occupò con grande fervore l'inquisitore Manini, cercò di ridare importanza al Tribunale. Manini procedette a interrogare diversi testimoni che affermano la colpevolezza della strega, gli unici che si dissociarono e raccontarono la storia d'amore sono i due coniugi Nidasio (che cercano pure di corromperlo), l'amica Teresina e il campanaro Maffiolo. Questa versione viene però scartata, la ragazza viene arrestata
    Tuttavia gli inquisitori non credettero a ciò e continuarono a raccogliere accuse, considerando anche come prove delle pratiche di stregoneria: oggetti d’uso comune, come un vasetto per unguenti profumati ed una scatola contenente delle ciocche di capelli appartenenti al suo amato.
    Nelle carceri del tribunale la ragazza rimase per un paio di mesi, qui fu torturata, violentata dai carcerieri. Il padre cercò in varie maniere di corrompere l’inquisitore, ma tutto ciò fu inutile, la sentenza fu emanata, condannando Antonia alla morte sul rogo formato dalla stessa legna ricavata dall'Albera.
    Durante l’attesa del 20 agosto, Antonia fu trasferita nella Torre dei Paratici, dove rincontrò la sua amica Rosalina.
    Il 20 agosto arrivò, molta gente proveniente dai paesi vicini venne a vedere la strega bruciare, mentre il parroco aveva indotto una processione per esorcizzare il demonio per far sì che sul novarese tornasse la pioggia.
    Antonia andò incontro alla morte serenamente, quando la prima fiamma s’innalzò al cielo si sentivano già i primi applausi e urli di gioia del pubblico.

    Personaggi

    Antonia, la protagonista (a tutto tondo perché si evolve e cambia le sue idee); i coniugi Nidasio (piatti, caratterizzati da una grande bontà d’animo); le comari (piatti, caratterizzati dai pettegolezzi e dalle malignità); il Vescovo Bascapè (a tutto tondo perché prima vuole cambiare la chiesa e poi si rassegna e si rende conto che è impossibile); don Teresio (piatto, caratterizzato dalle sue prediche apocalittiche e dalle continue richieste di donazioni); don Michele (piatto, caratterizzato dalle sue attività illecite); l’inquisitore Manini (piatto, caratterizzato dalla sua ambizione e freddezza); il boia Bernardo Sasso (piatto, caratterizzato dalla pietà e dalla devozione al lavoro); Biagio lo scemo (piatto, caratterizzato dalla stupidità e dall’amore incontrollato per Antonia); Gasparo (piatto, caratterizzato dal senso di libertà e dalle "promesse da marinaio"). Tutti i personaggi, compresa la protagonista, sono però in secondo piano rispetto alla vicenda, che non è particolarmente romanzata: in tal modo l’autore riesce a creare un quadro della situazione nel ‘600.

    Antonia. Figlia illegittima, appena nata viene deposta sul torno della Casa di Carità di San Michele fuori le mura a Novara. Antonia era una bambina dai capelli neri, così come scuri erano anche i suoi occhi. Alla Pia Casa le venne posto nome Antonia Renata Giuditta Spagnolini e in questa visse per alcuni anni, finché i coniugi Nidasio la scelsero e ottennero il suo affidamento. Essa presenta sin da bambina caratteristiche fisiche e psicologiche che la fanno emergere dal gruppo.Antonia ci mostra le sue caratteristiche più autentiche e più vive, d’ingenuità, di fierezza, di determinazione.

    La protagonista, Antonia, viene abbandonata subito dopo la nascita in un convento di Novara e lì trascorre un'adolescenza difficile.
    All’età di dieci anni viene adottata da una famiglia di contadini della Bassa Valsesia e si trasferisce a Zardino, un piccolo paese. Il suo passato di esposta la perseguita nel piccolo paese, mentre la sua bellezza e la sua generosità sono oggetto d’invidia di alcune comari.
    Da questo momento in poi la vita di Antonia diventa sempre più difficile, nascono su di lei strane voci, storie e pregiudizi, che portano addirittura a una denuncia per stregoneria da parte del parroco, Don Teresio, al Sant’Uffizio. Antonia diventa il simbolo della libertà di pensiero che non si lascia schiacciare dalle pressioni esterne, lei non conosce la paura, vive la sua vicenda con serenità, e non confesserà mai gli atti di cui viene ingiustamente accusata; il suo unico errore è quello di non adeguarsi alla mentalità del suo tempo, così lontana dalla sua. Lei si presenta davanti alla morte sicura della sua onestà e coraggiosamente non si volta mai indietro, non rinnega la sua natura, ma sostiene la propria verità sino in fondo, senza compromessi di sorta. Le sue parole, troppo ambigue, vengono mal interpretate dall’inquisitore, che pensa di utilizzare il suo sfogo, dettato più dall’ira che da un cedimento psicologico, come confessione. Infine, Antonia viene tragicamente bruciata sul rogo.


    I coniugi Nidasio. Bartolo Nidasio era un uomo di circa cinquant’anni con la barba grigia. Francesca Nidasio era una donna dal viso rotondo, senza età, con due occhi azzurri che mettevano allegria solo a guardarli. Il suo corpo era invece enorme e sproporzionato, con un sedere così grosso che le ragazze della Pia Casa la chiamarono “la culona” non appena la videro. I coniugi Nidasio erano comprensivi, onesti, e meno soggetti alle credenze popolari e al potere occulto della chiesa.

    Gasparo Bosi era uno tra i più noti camminanti della bassa ed era conosciuto con il soprannome di Tosetto. Era di statura piuttosto bassa, biondiccio, con gli occhi grigi tra le fessure delle palpebre e una faccia rotonda da briccone senza barba ne baffi. Era stato un camminate dalla nascita; sua madre l’aveva tenuto con se fino a dieci anni per poi affidarlo al padre. Prima di essere abbandonato dal padre era stato educato al disprezzo del lavoro . Quest’uomo abbordò per la prima volta Antonia alla fonte e da subito scoppiò la passione, per la quale Antonia perderà la vita.

    Don Teresio In seguito alle riforme introdotte dal vescovo Bascapè alla diocesi di Novara arrivò a Zardino sostituendo il quistone don Michele.
    Egli cercò di riportare l’autorità ecclesiastica in un luogo in cui la sua assenza aveva reso gli abitanti intolleranti verso le imposizioni della chiesa. Arriva a Zardino con la “pretesa” di scacciare il diavolo che riteneva essere presente in ogni persona.

    Don Michele era un ometto vispo e bene in carne, di un’età indefinibile, ma certamente superiore ai sesant’anni, capelli bianchi corti, guance rasate e occhi così chiari da sembrare quasi gialli. Era un prete di un genere particolare, un prete mago. Sapeva a mala pena leggere e scrivere. Nella diocesi di Novara, i falsi preti come don Michele erano chiamati quistoni .

    spazio Zardino e la bassa, Novara
    tempo Il romanzo si colloca tra il XVI e il XVII secolo, in piena dominazione spagnola.
    focalizzazione è esterna Il narratore è è onnisciente ed esterno alla vicenda.

    Commento:
    Il libro mi ha veramente annoiato per i primi capitoli, in cui la narrazione non ha avuto grandi impulsi e il racconto delle vicende dell’epoca non era abbastanza stimolante; quando Antonia ha iniziato a crescere mi sono appassionato di più perché anche le pause descrittive e riferimenti storici erano più interessanti che all’inizio.
    La religione è tema dominante, anche se nella Chimera è vista come strumento di potere e arricchimento dei parroci.
     
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